La parola

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Il commento alla seconda lettura della Liturgia della Parola

Il clima liturgico di questa quarta domenica d'Avvento è già tutto pervaso dalla contemplazione del grande mistero dell'Incarnazione, che si colloca al centro della celebrazione natalizia, e il vangelo proposto riflette questo orientamento. Si tratta di una pagina, tratta dai capitoli iniziali di Matteo, dedicati a mostrare l'origine di Gesù Messia d'Israele; dopo la genealogia, che apre lo scritto matteano, abbiamo la narrazione della nascita di Gesù Cristo, vista dal punto di vista divino.

Giovanni, il profeta che ci accompagna al mistero della venuta di Cristo tra noi, attraversa l'esperienza del buio, non solo perché, ingiustamente carcerato, sente forse avvicinarsi l'ora della suprema testimonianza, ma soprattutto perché è turbato nel cuore, davanti alla figura, così singolare di Gesù.

Il vangelo proposto alla nostra riflessione s'incentra sulla figura e la testimonianza di Giovanni il Battista: Matteo, seguendo lo schema di Marco, introduce la vita pubblica del Signore presentando la missione dell'ultimo profeta in Israele, come colui che ha avuto il compito e la grazia di poter indicare presente il Messia atteso.

Con questa domenica iniziamo il nuovo anno liturgico, nel quale saremo accompagnati dal vangelo secondo Matteo, ed entriamo nel tempo breve, ma intenso dell'Avvento: come noto, i vangeli che sono proposti alla nostra meditazione richiamano i caratteri fondamentali di questo tempo, orientato alla duplice venuta del Signore, la prima nell'umiltà della carne, e l'ultima nella pienezza della gloria.

In questa domenica, che chiude l'anno liturgico, la Chiesa celebra il mistero di Cristo, re dell'universo, e il passo di Luca, proposto alla nostra meditazione, ci permette di penetrare nei tratti assolutamente originali della regalità di Gesù, un re ben diverso dai normali canoni storici e culturali, che realizza la sua signoria per la via paradossale della croce.

Nel vangelo di questa domenica ascoltiamo l'avvio del discorso escatologico, che Gesù pronuncia davanti allo spettacolo imponente del grande tempio di Gerusalemme: il tempio, segno della protezione sicura di Dio per Israele, conoscerà la devastazione completa, davvero 'non resterà pietra su pietra', pochi decenni dopo, quando le legioni romane di Tito nel 70 d.C. conquisteranno la città di Gerusalemme, distruggendo l'area sacra del tempio.

Il passo evangelico proposto alla nostra meditazione si adatta al clima spirituale di queste ultime domeniche dell'anno liturgico, dominate dalla prospettiva della fine e del compimento della storia, nel ritorno glorioso del Signore.

Nella lettura semicontinua del terzo vangelo, siamo giunti nella parte conclusiva del lungo viaggio verso Gerusalemme, viaggio che nel vangelo di Luca occupa una lunga sezione (9,51-19,28) e rappresenta il cammino del discepolo dietro al suo Maestro: Gesù entra nella citta di Gèrico, luogo di passaggio obbligato per chi voleva raggiungere la Città Santa, e qui l'evangelista colloca un incontro significativo tra un capo dei pubblicani, Zacchèo e il Signore.

La parabola proposta nel vangelo di questa domenica è propria dell'evangelista Luca, e ancora una volta, evoca il tema della preghiera autentica: in realtà, nel gesto orante dei due protagonisti, viene alla luce la loro persona, il loro modo di concepire se stessi e Dio.

L'evangelista Luca mostra una particolare predilezione per il tema della preghiera: il suo racconto si apre e si chiude in una cornice orante (la visione di Zaccaria che sta officiando nel tempio per l'offerta dell'incenso in Lc 1,5-22 e l'immagine dei discepoli, che dopo l'ascensione del Signore, 'stavano nel tempio lodando Dio' in Lc 24,53); più volte, in momenti decisivi della sua missione, Gesù è in preghiera, e in due passaggi del suo vangelo, Luca raccoglie insegnamenti specifici del Signore su questo tema.