28a domenica del Tempo Ordinario - anno A, Matteo 22,1 -14
Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze
Anche in questa domenica ascoltiamo una parabola, che ha come primo uditorio i sommi sacerdoti e i farisei, i quali mostrano una sempre maggiore ostilità verso Gesù: la loro reazione, dopo la parabola dei vignaioli omicidi, è tentare di catturare Gesù, considerato dalla folla un profeta (Mt 21,45). In questo contesto, anche il racconto del banchetto nuziale è innanzitutto un appello alle autorità religiose d'Israele, ma al contempo racchiude un richiamo trasparente per tutti i discepoli del Signore.
Anche in questa domenica ascoltiamo una parabola, che ha come primo uditorio i sommi sacerdoti e i farisei, i quali mostrano una sempre maggiore ostilità verso Gesù: la loro reazione, dopo la parabola dei vignaioli omicidi, è tentare di catturare Gesù, considerato dalla folla un profeta (Mt 21,45). In questo contesto, anche il racconto del banchetto nuziale è innanzitutto un appello alle autorità religiose d'Israele, ma al contempo racchiude un richiamo trasparente per tutti i discepoli del Signore. L'immagine centrale della parabola è fortemente biblica, una festa di nozze che un padre prepara per suo figlio e alla quale invita a partecipare: il banchetto abbondante e gioioso delle nozze rappresenta nella tradizione profetica il Regno a cui è invitato Israele, ed esprime lo stato di liberazione dal dolore, dal lutto e dalla morte che Dio promette e prepara per il suo popolo fedele (cfr. Is 25,6-10). Ma il primo elemento strano, in sé irragionevole, è il fatto che gli invitati scelti non vogliano venire alle nozze, e di fronte all'annuncio che tutto è pronto e all'appello 'Venite alle nozze!' non se ne curano, si dedicano ai loro affari, addirittura, come i vignaioli della precedente parabola, insultano e uccidono i servi inviati dal padrone. Questa incomprensibile resistenza a qualcosa di bello e di lieto, un invito a nozze, descrive ciò che è accaduto in Israele, di fronte alla parola dei profeti, e ora di fronte a Gesù, ma soprattutto ci avverte di una possibilità sempre presente nell'animo umano, di sottrarsi anche ad un annuncio buono e bello, perché si è più attaccati alle proprie cose, ai propri progetti, a ciò che è nostro! A differenza però della parabola precedente, la reazione del padrone non si fa attendere, c'è un giudizio di condanna per gli invitati omicidi, e qui si può leggere una profezia del destino tragico di Gerusalemme, distrutta dalle truppe romane di Tito nel 70 d.C., ma soprattutto c'è una svolta: ora la chiamata alle nozze è rivolta a tutti quelli che i servi incontreranno ai crocicchi delle strade, ora si crea una nuova comunità alla mensa nuziale, una comunità disparata, composta da buoni e cattivi. Questa iniziativa inattesa del padre dello sposo annuncia ciò che ha cominciato ad accadere nella vita di Gesù, il figlio che va a cercare gli esclusi, i peccatori, e sta a mensa con loro, e ciò che dopo la Pasqua si è realizzato nella missione apostolica: il Vangelo annunciato oltre Israele, alle genti, a coloro che non erano oggetto dell'Alleanza e dell'elezione divina. I destinatari del vangelo di Matteo erano così sollecitati ad allargare l'orizzonte della missione: se erano di provenienza giudaica, imparavano la magnanimità di Dio, se erano pagani, si riconoscevano in questi chiamati, raggiunti in modo imprevedibile dal gesto e dall'invito del Padre. Oggi siamo noi che possiamo ritrovare la nostra storia di credenti, toccati per grazia dall'iniziativa di Dio, e che già ora, in modo iniziale e reale, partecipiamo al banchetto di nozze, sediamo a mensa con Cristo, lo sposo, nel banchetto eucaristico; per noi, dunque, vale l'avvertimento racchiuso nella parte finale della parabola, che si delinea quasi come un racconto a sé. Per entrare nella festa, per vivere la gioia del banchetto, non basta essere nella sala, tra gli invitati, raccolti dai servi, occorre avere l'abito nuziale: 'Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?'. Al di là delle interpretazioni allegoriche, che vedono nell'abito il simbolo della grazia, della fede operosa nella carità , è chiaro che avere l'abito nuziale esprime un legame curato, manifesta il voler corrispondere, anche se in modo inadeguato, al dono dell'invito, ed esprimere anche visibilmente l'essere parte della festa di nozze. Non basta essere chiamati, non basta essere nella folla degli invitati, occorre rispondere con la tensione del cuore e della libertà , occorre vivere quella che Dietrich Bonhoeffer chiamava la grazia a caro prezzo: 'à a caro prezzo, perché chiama alla sequela; è grazia, perché chiama alla sequela di Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché costa all'uomo il prezzo della vita; è grazia, perché proprio in tal modo, gli dona la vita; è a caro prezzo, perché condanna il peccato'.
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