Il breve passo di Matteo, proposto alla nostra attenzione, racchiude una preghiera di lode e di giubilo del Signore, e un invito rivolto agli uomini 'stanchi e oppressi', perché possano trovare in lui riposo.
Il commento alla seconda lettura della Liturgia della Parola
In questa domenica celebriamo la memoria comune dei due apostoli, Pietro e Paolo, considerati colonne della Chiesa di Roma, accomunati nel martirio, vissuto nella città eterna, associati nella venerazione del popolo cristiano.
Per tre volte, nel passo tratto dal discorso missionario di Matteo (Mt 10,5-42), ritorna l'invito di Gesù ai suoi discepoli: 'Non abbiate paura', paura degli uomini, che potranno perseguitare i credenti in Cristo, paura dei persecutori, che giungeranno a comminare la morte; in realtà , nell'esperienza dei credenti, i motivi di paura possono essere anche altri, e in generale, la paura sorge da un pericolo, da qualcosa che è percepito come ostile alla vita, e in questo senso più ampio, la paura può nascere di fronte alla sofferenza, alla prova che ci schiaccia, alla prospettiva inesorabil
Lo sguardo di Gesù, nel passo proposto al nostro ascolto, si posa sulle folle che lo seguono, ed è uno sguardo che legge una condizione di fatica e di smarrimento, 'stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore': un popolo disperso, quasi schiacciato dalla fatica, un'immagine efficace di tante folle anche del nostro tempo, di tanta umanità dispersa, che sembra inseguire, invano, una pienezza, un riposo vero, che sperimenta la vita come peso, che non ha più maestri ai quali poter guardare.
Ascoltando il passo evangelico proposto alla nostra attenzione, la chiamata di Gesù rivolta a Matteo, viene alla mente la stupenda rappresentazione pittorica dell'evento, realizzata da Caravaggio e custodita nella chiesa di S. Luigi dei Francesi in Roma: nella stanza buia, entra la luce dalla parte in cui appare Gesù che rivolge il suo sguardo a Matteo, seduto al banco delle imposte, chino a contare i denari.
Riprendiamo, con questa domenica, la lettura continua del vangelo di Matteo, che ci accompagna in quest'anno liturgico, e ascoltiamo la parte conclusiva del primo grande discorso di Gesù, il discorso del monte, dove è proclamata la novità del Regno, ormai presente nella persona e nell'opera di Cristo.
Ogni anno, la ripresa del tempo ordinario, dopo i cinquanta giorni della Pasqua, è segnato dalla celebrazione di due grandi realtà della nostra fede: il mistero della Santissima Trinità , che ci fa entrare nel cuore della vita intima di Dio, e il mistero dell'Eucaristia, dono fedele e inesauribile della carità di Cristo.
Il mistero dell'effusione dello Spirito promesso, sulla Chiesa nascente, è il cuore della solennità di Pentecoste, che chiude il grande tempo pasquale: nella originale prospettiva del vangelo di Giovanni, questo evento, collocato nel racconto degli Atti cinquanta giorni dopo la Pasqua, è anticipato nel primo incontro del Risorto con i suoi discepoli.
Il mistero dell'effusione dello Spirito promesso, sulla Chiesa nascente, è il cuore della solennità di Pentecoste, che chiude il grande tempo pasquale: nella originale prospettiva del vangelo di Giovanni, questo evento, collocato nel racconto degli Atti cinquanta giorni dopo la Pasqua, è anticipato nel primo incontro del Risorto con i suoi discepoli.
Con il mistero dell'Ascensione, entriamo nel paradosso di una condizione nuova del Signore glorificato nella Pasqua, paradosso perché contemporaneamente i discepoli vivono l'evento di un'assenza e di una presenza originale e fedele del Risorto.