26a domenica del tempo ordinario - Anno A, Mt 21,28-32
I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio
Dopo l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto dalle folle festanti che lo acclamano come il figlio di Davide, il Messia d'Israele (cfr. Mt 21,1-11), cresce l'ostilità dei capi religiosi, sommi sacerdoti e anziani del popolo, di fronte a questo strano maestro, che supera ogni schema e ogni immagine.
Dopo l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto dalle folle festanti che lo acclamano come il figlio di Davide, il Messia d'Israele (cfr. Mt 21,1-11), cresce l'ostilità dei capi religiosi, sommi sacerdoti e anziani del popolo, di fronte a questo strano maestro, che supera ogni schema e ogni immagine. La breve parabola, rivolta proprio ai capi dei sacerdoti e agli anziani, si colloca in questo contesto di confronto sempre più acceso duro con Gesù, che avrà il suo culmine nelle maledizioni rivolte agli scribi e ai farisei (Mt 23,13-32) e avrà il suo tragico epilogo nella condanna a morte di Cristo, quale falso Messia e bestemmiatore. All'orizzonte si profila una distinzione che attraversa i cuori degli uomini, di ieri e di oggi, e che viene espressa dalle due figure di figli, evocati nella parabola: da una parte c'è il primo, che si mostra inizialmente chiuso all'invito del padre a lavorare nella sua vigna, ma che si pente, e aderisce al comando paterno; dall'altra c'è il secondo figlio che, invece, non scende in conflitto con il padre, si dichiara immediatamente disponibile, ma poi non si muove, e tradisce la fiducia del padre. Le parole del Signore che seguono orientano, in modo trasparente, l'interpretazione del piccolo racconto, e ci portano ad identificare nel figlio, prima ribelle, e poi obbediente, i peccatori, in particolare i pubblicani e le prostitute, che si sono lasciati toccare e ferire dalla parola e dalla testimonianza di Giovanni il battista, gli creduto, mentre il secondo figlio, ipocrita nel suo atteggiamento ossequioso, ma disobbediente, sembra indicare gli interlocutori diretti di Gesù, appunto gli uomini religiosi, i capi dei sacerdoti, che non si sono lasciati convertire dalla parola di Giovanni, né tanto meno dal vedere molti peccatori accogliere l'invito forte alla penitenza, e ora si stanno ponendo in posizione di difesa e di scandalo di fronte a Gesù. Come spesso accade nel Vangelo, le parole di Cristo sono nette, quasi paradossali: 'In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio'. Ovviamente non è un invito a percorrere o a mantenere la via del peccato, ma è una provocante constatazione del fatto che proprio i peccatori, coloro che sperimentano e riconoscono la miseria del peccato, sono più semplici, più disponibili ad accogliere la grazia di una parola chiara, a spalancare il cuore ad una presenza di misericordia; coloro invece che si sentono a posto, che non vivono il dramma della loro umanità ferita e fragile, rischiano di porre la fiducia nella loro pretesa bontà , e soprattutto non sentono l'urgenza di qualcuno che abbia pietà del loro peccato e si chini con tenerezza sulla loro miseria. In fondo, il primo passo di un cammino veramente umano, che per grazia incrocia la presenza misericordiosa di Gesù, è l'umile coscienza d'essere peccatori, l'avvertire la ferita bruciante del proprio male, del tradimento sottile e continuo che la nostra libertà compie, verso Dio, verso quel Bene pur desiderato e atteso. Chi è leale e sa riconoscere questa strana debolezza che inclina a cedere al fascino illusorio del male, è come se fosse più disposto a vedere una presenza nuova dentro la propria esistenza, mentre i 'farisei' di ogni tempo e di ogni condizione non si accorgono neppure di ciò che accade sotto i loro occhi, non si lasciano sorprendere dal miracolo di miseri uomini, che iniziano a cambiare di fronte alla parola di un testimone, come Giovanni, di fronte all'irrompere della misericordia, fatta carne, volto e gesto nella persona di Cristo. Alla luce della parabola odierna, comprendiamo una volta di più che ciò che conta, davanti a Dio, non è un'impossibile perfezione, il non sbagliare mai, ma avere la semplicità di cuore e la sincerità di spirito di chiamare il bene e il male con il loro nome, per poter tornare sui nostri passi, per potere sciogliere, nella grazia del pentimento, i grumi del peccato, per essere capaci di riprendere il cammino, dall'inizio, credendo, dando fiducia a chi ci è dato come profeta e testimone, mendicando da Gesù l'amore che perdona, che guarisce, che ricrea. Così si compie la volontà del Padre e si percorre, cadendo e rialzandoci, la strada buona, che conduce al regno di Dio.
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