26a Domenica del Tempo Ordinario (anno A), Matteo 21 ,28-32
Pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto...
La parabola dei due figli s'inserisce nel quadro delle dispute di Gesù a Gerusalemme con "i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo" (Mt 21,23): Gesù è entrato nella Città Santa, acclamato come Messia, ha scacciato dal cortile del tempio i venditori di animali e i cambiavalute, e con il segno profetico della maledizione del fico, carico di foglie, ma privo di frutti, ha condannato una religiosità formale, appariscente, ma in fondo arida e infeconda (Mt 21,1-22). Ora, visto che sacerdoti e scribi non hanno il coraggio di pronunciarsi sulla missione di Giovanni Battista, davanti all'indisponibilità dei suoi interlocutori, Cristo si rifiuta di dire con quale autorità egli agisca (Mt 21,23-27) e li provoca con tre parabole, che intendono svelare la menzogna del loro cuore, perché aprano gli occhi e si convertano (Mt 21,28 - 22,14). Questo è infatti il meccanismo della parabola, che coinvolge noi ascoltatori, mostrando come riferito ad altri, qualcosa di negativo che mai vorremmo riconoscere in noi stessi. In effetti, nel racconto di Gesù, si parla di due figli, chiamati dal padre a lavorare nella vigna, raggiunti da un invito attuale: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". È l'oggi iniziato dalla presenza viva di Gesù in mezzo al suo popolo, è l'oggi della nostra esistenza, raggiunta, per grazia, dalla chiamata del Padre che ci tratta come figli, e non come servi, e ci chiede di lavorare nella sua vigna, compiendo la sua volontà. Il primo figlio è sincero, sa di avere di fronte un padre e non un padrone, e inizialmente afferma "Non ne ho voglia", ma poi, si pente e va'. Il secondo figlio non ha neppure il coraggio di dire "no", forse vede il padre come un padrone a cui si deve obbedienza, formalmente accetta il comando, ma poi non si muove. In modo sapiente, Gesù svela come in un vero rapporto, con Dio, ma anche con chi è padre o maestro nella vita, non ci può essere una paura che obbliga a fingere e che perfino la resistenza e la ribellione, riconosciute, possono essere strada per maturare e per accogliere l'indicazione di cammino che è offerta da Dio, il Padre, e da chi ci è donato come padre nel percorso della vita e della fede. Ora chi ascoltava la parabola, i sacerdoti e i dottori della legge, correva un rischio, che è lo stesso che corriamo noi, ed è quello di identificare se stesso con un "terzo" figlio che non esiste, che dice subito sì al padre e va a lavorare nella vigna, invece Gesù vuole smascherare la menzogna, non per umiliarci, ma per convertirci: possiamo essere noi come il secondo figlio, credendoci giusti e a posto, e non ci rendiamo conto del nostro peccato, delle nostre meschinità e della resistenza che facciamo a credere a Cristo, a compiere realmente la volontà del Padre. Solo quando riconosciamo il nostro "no", magari ben travestito, possiamo immedesimarci con il cammino del primo figlio, che si è opposto, ma dopo ha avuto la libertà di convertirsi. Perché la provocazione della parabola non resti inattiva, Gesù aggiunge un'applicazione scandalosa per i suoi uditori e vuole risvegliare una falsa coscienza religiosa, "perbenista" che può abitare in noi credenti e discepoli del Signore: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio". Ci passano avanti perché essi sanno di essere in una situazione di peccato, sono come il primo figlio che si sta ribellando al padre, ma nella loro miseria, non si giustificano e come si sono lasciati ferire dalla parola di Giovanni, ora sono più disponibili dei 'giusti' davanti a Gesù. Non a caso si parla di "credere" perché la vera conversione è la fede che riconosce nel volto del profeta e, in pienezza, nel volto di Cristo la visita di Dio ed è questa fede che c'illumina sulla nostra condizione di peccatori, chiamati ad essere rigenerati e ricreati dalla misericordia del Padre: "Questa parabola svela la situazione dell'ascoltatore che non vuol convertirsi: è come il fratello che dice sì, ma non fa. Quando è cosciente di questo, può diventare come l'altro, che dice no, ma poi cambia parere" (S. Fausti). Davvero la misericordia di Dio vuole abbracciare tutti, i 'giusti', liberati dalla loro falsa giustizia, e i peccatori che, nell'umiltà di un cuore ferito, sanno credere e sperare nell'amore fedele e sorprendente del Padre.
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