La parola

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Il commento alla seconda lettura della Liturgia della Parola

La domanda a Gesù dei membri della setta dei 'Separati' (Farisei) è apparentemente una questione tipica interna dei maestri rabbini di Israele, che ammettevano comunemente il divorzio ma discutevano animatamente sulle cause e le motivazioni, che per alcuni dovevano essere molto gravi (esplicita infedeltà coniugale accertata) mentre per altri si potevano ricondurre ad una qualsiasi perdita o calo di amore (in ebraico: non trovare più grazia agli occhi di qualcuno).

La settimana scorsa Gesù parlava di accogliere un bambino (ossia i piccoli della comunità) 'nel suo nome', ossia con la sua persona, con il suo atteggiamento e la sua forza. E' questa parola che fa da aggancio per l'intervento apparentemente fuori luogo di Giovanni, che per la prima volta nel Vangelo di Marco si rende portavoce degli altri apostoli. Lo zelante (che in lingua originale è identico a 'geloso') figlio di Zebedeo ricorda a Gesù un episodio, vissuto probabilmente quando Gesù li aveva mandati a due a due in missione, a cacciare gli spiriti del male.

Leggiamo una pagina centrale del Vangelo di Marco, un insegnamento che ruota attorno ad alcuni perni: la figura di Elia il profeta che deve tornare, il riconoscimento del Messia-Cristo e Figlio del Padre da parte dell'apostolo e per rivelazione della voce del Padre, il ruolo di Pietro, e al centro di questa sezione le esigenze della sequela-discepolato nei confronti di Gesù, Figlio dell'Uomo. Si tratta dunque di una densa pagina che ci dona molti indizi per aprirci alla rivelazione del mistero di Gesù, uomo e Dio.

C ontrariamente a quanto si pensi, il motivo di questo viaggio di Gesù al di fuori dei confini storici della Terra Promessa, dell'Israele dell'Alleanza, non era dovuto al desiderio di predicare lì la Buona Novella. E di fatto Gesù non predica, non è ancora venuto il momento dei pagani. Semplicemente la sua presenza porta luce e guarigione, come era stato nel brano precedente per la donna greca, siro-fenicia, abitante nei territori di Tiro e Sidone.

La pagina di Vangelo di questa domenica, festa della Trasfigurazione, si apre con un'annotazione di tempo: 'sei giorni dopo'. Dopo che cosa? Credo sia importante andare a vedere, in quanto ogni dettaglio è significativo nel racconto evangelico. Gesù sei giorni prima aveva detto: Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi, infatti, vorrà salvare la sua vita, la perderà; chi, invece, perderà la sua vita per causa mia e del vangelo, la salverà.

Ogni vero discepolato comincia e finisce in Gesù. E' il Maestro che ha mandato i suoi a due a due, a preparargli la strada, ad aprire i cuori delle persone alla luce e alla verità, a guarire i loro mali e le loro incredulità. Essendo stati inviati, i discepoli non si attribuiscono la gloria di ciò che hanno fatto. Hanno avuto parole persuasive, che sono arrivate a tanti cuori, sono stati in grado di portare comprensione, perdono, guarigione interiore, donando la forza della conversione a tante vite disordinate a causa del peccato, che incatena ad una vita grigia e arrabbiata.

Dovremmo rileggere il brano di domenica scorsa per capire bene il contesto di questa chiamata di Gesù. Proprio perché rifiutato e disprezzato, Gesù lascia le folle e si dedica a quella famiglia che aveva in parte già costituito. Dopo aver chiamato alcuni singolarmente a seguirlo, li aveva già costituiti in comunità, come sua famiglia, chiamandoli a stare con Lui (Mc 3,14), in vista di una collaborazione con la sua attività di predicatore ed esorcista.

Una certa saggezza, che ha avuto i suoi seguaci in tutti i tempi, e che oggi è favorita dalla mentalità scientifica positiva, tende a far accettare la prospettiva della morte con razionale serenità, senza paure, senza illusioni consolatorie, come una cosa naturale. Ma la realtà è più forte di qualsiasi dottrina. Sopraffatto dall'inesorabile certezza della morte, l'uomo si ribella contro di essa e dopo aver gustato il sapore della vita non vorrebbe mai più morire. Ha la chiara percezione che la morte è tutt'altro che lo sbocco naturale della vita.