33a domenicadel TempoOrdinario, Mc 13, 24-32
Il Figlio dell'uomo riunirà i suoi eletti dai quattro venti
Nella penultima domenica del Tempo Ordinario giungiamo al capitolo tredicesimo della nostra lettura continua del vangelo di Marco, l'ultimo capitolo prima dei racconti di Passione e Risurrezione con i quali l'evangelista chiude il suo Evangelo. Questo capitolo è conosciuto come il discorso escatologico (sulle ultime cose) di Gesù, in privato. Si tratta di un insegnamento ufficiale di Gesù, che si siede come un maestro sul Monte degli Ulivi, e di fronte al Tempio risponde alla domanda di un piccolo cerchio di discepoli, i quattro apostoli della prima ora, i primi chiamati.
Nella penultima domenica del Tempo Ordinario giungiamo al capitolo tredicesimo della nostra lettura continua del vangelo di Marco, l'ultimo capitolo prima dei racconti di Passione e Risurrezione con i quali l'evangelista chiude il suo Evangelo. Questo capitolo è conosciuto come il discorso escatologico (sulle ultime cose) di Gesù, in privato. Si tratta di un insegnamento ufficiale di Gesù, che si siede come un maestro sul Monte degli Ulivi, e di fronte al Tempio risponde alla domanda di un piccolo cerchio di discepoli, i quattro apostoli della prima ora, i primi chiamati. A loro dona la chiave di lettura per comprendere ciò che preoccupa tante persone, credenti o meno, la fine dei tempi. Già il luogo scelto orienta alla comprensione del contenuto. Tra il Monte degli Ulivi e il monte del Tempio, l'antica 'aia di Arauna, il Gebuseo', acquistata dal re Davide, c'è di mezzo la valle del torrente Cedron, chiamata anche 'valle di Josaphat', che significa valle del giudizio di Dio. Basta leggere il capitolo terzo del profeta Gioele, e il capitolo 14 del libro di Zaccaria per capire che il luogo scelto da Gesù per questo insegnamento richiama alla memoria il luogo profetico di un grande raduno, un momento in cui tutte le nazioni vengono convocate da Dio proprio in quella valle, e giudicate in base al loro comportamento verso la città santa, Gerusalemme. La domanda dei discepoli ruota attorno al 'quando' devono compiersi queste cose (ossia le ultime parole di Gesù sulla distruzione del tempio) e quale sarà il 'segno' che questo tempo di avvicina. Gesù risponde usando il linguaggio tecnico della letteratura 'apocalittica', cioè la rivelazione (svelamento) circa le ultime cose, ossia gli eventi definitivi. In qualunque modo siamo stati abituati a meditare queste cose, se mai abbiamo avuto il coraggio di farlo, il riferimento ad un momento di verità e di discernimento è palese. Non si tratta di un giudizio 'forense', con tanto di accuse, toghe ed avvocati, in cui Dio ci sbatterà in faccia le accuse per i nostri peccati passati; piuttosto sarà il momento in cui Egli ci toglierà le maschere, ci farà vedere la vera realtà delle cose, ciò per cui abbiamo vissuto. La caduta o lo spegnimento degli astri indica che la funzione del sole, della luna e delle stelle è venuta meno, essendo giunto il momento di un'altra modalità di computo del tempo, essendo l'eternità di Dio entrata definitivamente nella vita terrena umana. E' un modo di dire che l'eternità è entrata nel tempo umano, cambiandolo dal di dentro, donandogli una nuova configurazione ed efficacia. La figura del Figlio dell'Uomo che compare nel nostro testo evangelico rimanda alle pagine del libro di Daniele, in particolare al momento in cui questa figura umana e allo stesso tempo sovrumana riceve dall'Antico di Giorni (Dio) il potere di giudicare (ossia governare) tutte le genti. In base a queste ultime indicazioni, capiamo che non si tratta allora solamente di un rimando alla fine dei tempi, al giudizio finale, ma al momento in cui al Figlio dell'Uomo viene dato il potere assoluto di giudicare-governare tutte le genti, radunando i suoi dai quattro angoli della terra, tempo che inizia quando Gesù diventa il Kyrios, il Signore Risorto, vittorioso sul male e sulla morte. E' come dire che la fine del tempo non è solo un evento futuro, che riguarda la fine del tempo cronologico nel quale viviamo, bensì anche un evento del passato, di duemila anni orsono, quando Gesù ha già posto il sigillo definitivo del Figlio dell'Uomo sulla verità della sua Parola, che non passa e rimane in eterno. Con la croce, la morte e la risurrezione di Gesù è iniziato il tempo ultimo dell'umanità , il tempo definitivo in cui ognuno sarà giudicato proprio in base all'atteggiamento assunto di fronte a tale evento di salvezza. L'eterno è già entrato nella nostra storia, l'ottavo giorno è entrato nel computo ebdomadario (settimanale) dei nostri giorni terreni. Come ulteriore spiegazione, Gesù ci invita a riflettere sulla parabola del fico. L'osservazione della natura e di questa pianta deve insegnare a tutti i credenti a leggere i segni dei tempi, a riconoscere le stagioni, ad accorgersi che l'estate dei frutti e della messe è vicina. E' vicino cioè in Cristo quel momento di verifica (mietitura) del valore delle nostre azioni, della positività dei nostri pensieri. Ecco perché tutti i Vangeli, nelle pagine iniziali, invitano per bocca del Precursore Giovanni e subito dopo per bocca di Gesù alla conversione, perché 'il Regno dei Cieli si è reso vicino'. Conversione, ossia sguardo rivolto nella direzione giusta, pensieri e mente rivolti verso la verità , la giustizia, l'amore che provengono da Dio e vogliono riversarsi su tutti noi, indistintamente. Non c'è più spazio per l'indugio, non si può più perdere tempo prezioso. Il momento della conversione, della speranza, dell'attesa amorosa è ora. Non è importante, afferma Gesù, sapere 'il giorno e l'ora' in cui Dio deciderà di dare una fine cronologica alla sua Creazione; più importante è considerare che ogni giorno e ogni ora sono validi e adatti per riconoscere la validità delle parole di Gesù, per volgere lo sguardo, il grido, la preghiera verso Colui che ha dato senso alla nostra storia e al nostro tempo con il suo tempo 'che non avrà fine'. Usciamo dalla paura della fine (morte e giudizio) solo quando entriamo nell'immortalità e nell'eternità , accogliendo la Parola eterna che si è fatta carne. Allora l'angoscia per il giudizio finale lascerà il posto ad una gioiosa speranza, all'attesa luminosa di questo ritorno glorioso. La notte della nostra esistenza quotidiana si trasforma in una notte di veglia, nella certezza che prima o dopo nella nostra vita tornerà il Signore (il padrone della parabola). Egli ci ha dimostrato fiducia affidandoci la sua casa, affidando ad ogni servo il suo compito: Egli stesso sarà premio per coloro che non si sono lasciati andare alla disperazione o allo sfruttamento egoistico di questa apparente assenza di padroni o sono crollati addormentati lasciando sguarnita la porta delle esistenze che ci erano state affidate. Egli stesso colmerà di gioia la vita di coloro che hanno continuato a credere e sperare nel ritorno di Colui che non abbandona mai la Sua casa e i suoi, e vedono fin da questa vita i segni concreti della sua presenza, che annuncia una stagione ricca di frutti, anche quando imperversa ancora il freddo della stagione invernale.
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