La parola
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31° domenica del Tempo Ordinario, Mc 12, 28-34

Questo è il primo comandamento, il secondo poi gli è simile

Gesù è entrato nella città santa, sta avviandosi al termine della sua vita terrena, sta completando l'opera, raggiungendo il fine della sua venuta e del suo operato in mezzo a noi, come uomo. Accolto da una inaffidabile folla come Re Messia, nella famosa scena con parecchi particolari che facevano ricordare il Re Davide, Egli affronta però ben presto ciò che lo attende. L'incontro-scontro con chi detiene il potere cultuale e politico è dietro l'angolo.

Questo è il primo comandamento, il secondo poi gli è simile

Gesù è entrato nella città santa, sta avviandosi al termine della sua vita terrena, sta completando l'opera, raggiungendo il fine della sua venuta e del suo operato in mezzo a noi, come uomo. Accolto da una inaffidabile folla come Re Messia, nella famosa scena con parecchi particolari che facevano ricordare il Re Davide, Egli affronta però ben presto ciò che lo attende. L'incontro-scontro con chi detiene il potere cultuale e politico è dietro l'angolo. L'evangelista registra gli attacchi verbali di Farisei prima e di Sadducei poi, con le diverse sfumature che questi due movimenti avevano. Davanti alla domanda che viene rivolta al Rabbi di Galilea 'con quale autorità fai queste cose', cioè insegnare e guarire, Gesù aveva risposto con l'insegnamento del Padre Nostro, dal quale ogni paternità ed autorità proviene. Ecco il contesto che precede, ecco perché questo scriba compare in scena, 'dopo aver ascoltato quei discorsi', ossia le risposte di Gesù alle domande e provocazioni dei suoi colleghi. Lo scriba è normalmente un esperto della Torah, uno che conosce la Parola di Dio normativa per la vita del popolo. Essendo una persona onesta, un vero ricercatore della Verità, si accorge che la vita umana non può ridursi ad un problema di casistica, come nel brano precedente a questo pensavano i figli del sacerdote Sadoq. La conoscenza e l'applicazione di una legge, per quanto ispirata e divina, non coincidono di per sé automaticamente con le profonde aspirazioni del cuore umano. E' un po' quello che abbiamo vissuto come Chiesa Cattolica su invito del papa Giovanni Paolo II alla soglia del nuovo Millennio: cosa è veramente essenziale nella nostra vita? Certo, tutto è importante, per tutto ci vorrebbe tempo, tante cose ci piacerebbe approfondire. Ma cos'è quella cosa, quell'insegnamento senza del quale la nostra vita non si può chiamare vita? Qual è quella relazione profonda e sostanziale che ci mette in vero contatto con Dio? Basta l'applicazione di una normativa, il senso di aver fatto 'il proprio dovere', lo scrupolo di offrire a Dio 'gli olocausti e i sacrifici' che gli spettano? Al di fuori del contesto religioso, il dilemma di questo scriba è altrettanto conosciuto, spesso posto in questi termini: se si dovesse partire per un'isola deserta, o per il cosmo e vivere in un altro pianeta, potendo portare con sé solo 'tre cose', cosa scelgo? Credo che la domanda di questo esperto della legge di altri tempi non sia per niente banale per la nostra vita. Dobbiamo porcela anche noi, o meglio porla a Gesù e meditare la sua riposta. Qual è il nostro primo dovere di persone umane? Quale la richiesta più importante che Dio ci rivolge? Fra tutte le parole che sentiamo, a proposito e a sproposito, qual è veramente il comandamento essenziale? Cosa chiede Dio attraverso Gesù dalla nostra vita? La risposta di Gesù è uno degli insegnamenti più importanti, originali e comuni a molti allo stesso tempo, e forse anche uno dei più disattesi. Non un qualcosa da fare, non una osservanza, e nemmeno uno sforzo di cambiare le strutture socio-politiche. Un impegno costante, quotidiano, eroico, umile ma inarrestabile ad amare. Un impegno che coinvolga tutta la nostra persona, non solo l'intelligenza o l'emotività. Un impegno ad amare che, a partire dal profondo dei propri cuori, sia un'esplosione ed una crescita del nostro essere in tutte le direzioni possibili. Verso l'alto o il basso, nella dimensione verticale, cresciamo nell'amore unico e totalizzante verso Dio. Il primo comandamento da ascoltare, cioè accogliere profondamente nella nostra vita è l'impegno a riconoscere che Dio è l'unico Signore, il nostro unico Signore. Unico nel senso che non poniamo accanto a Lui altre forze, altri 'dei' che pretendano il nostro amore assoluto e completo. Le energie migliori di tutta la nostra persona vanno indirizzate verso Colui che è il 'nostro' unico Bene, la nostra unica Verità di creature, la nostra unica e comune speranza di popolo incamminato verso di Lui, e impegnato nella costruzione di una nuova società, di nuove relazioni che scaturiscano da questa relazione fondamentale con il suo amore creativo e fontale. Amare Dio con tutto il cuore, la psiche, con l'energia vitale del corpo e con tutte le nostre sostanze è entrare e rimanere nella corrente sorgiva dell'amore che Egli ci ha donato per primo, gratuitamente, offrendoci la sua vita divina. Amarlo è ringraziarlo, pensare alle sue parole, rivolgere a lui le nostre parole nelle preghiere, è impegnarci a mantenere il decoro dei nostri luoghi di culto. Amare Dio è riconoscere in Lui la sorgente del nostro essere personale, con Colui che ama, rispetta e protegge la nostra vita, ed anche riconoscere che solo Lui può costruirci come popolo. E' il 'nostro' Dio, non il mio Dio. Lo amo singolarmente, ma questo mio amore totale nei suoi confronti si unisce ad altri mille rivoli di amore, e ciò ci costruisce come popolo. Amare Dio è unificare l'umanità, sciogliere i nodi delle rivalità e diffidenze reciproche, anche prima di accorgersene, come guardare nella stessa direzione, con gli stessi sentimenti unifica coloro che osservano, o coloro che camminano verso la stessa direzione. E' evidente che intrinsecamente ed indissolubilmente legato al primo c'è il secondo comandamento, che ne è un prolungamento. Amando Dio più che noi stessi, guardando a Lui con speranza, meditando le sue parole e mettendole in pratica, noi stiamo già sentendo che colui che è accanto a me è unito a me in questo stesso amore. Amare il prossimo come se stessi è riversare anche su chi mi sta accanto lo stesso amore che illumina la mia vita, è partecipare a tutti coloro che mi accostano lo stesso torrente dialogico di amore reciproco che caratterizza e migliora la mia vita. Lo scriba sa che quanto dice Gesù è verità. Lo ha già scoperto nella sua vita. Aveva bisogno di una conferma forte da Gesù che più importante di ogni gesto cultuale di olocausto è l'amore che indirizza la nostra vita costantemente verso la risposta all'amore che abbiamo riconosciuto e ricevuto da Dio. E' entrato nell'amore, non è lontano dal Regno dove Dio sarà tutto in tutti, unendoci perfettamente nel Suo Amore. Dopo questo insegnamento, nessuno osa più chiedere alcunché a Gesù, perché ciascuno può recepire. C'è solo da metterlo in pratica nella propria vita.

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