Taxi Teheran

Teheran ai giorni nostri. Un taxi gira per le strade della capitale iraniana e l’uomo che lo guida incontra e, soprattutto, ascolta tante persone diverse: dalla donna che porta con sé un pesciolino rosso, a gente che vorrebbe che si eseguissero delle pene esemplari o chi difende le donne.
Tra i clienti, salgono marito e moglie: il marito è gravemente ferito a causa di un incidente ed è preoccupato perché se a lui accadesse qualcosa senza aver fatto testamento, la moglie sarebbe costretta a lasciare la loro casa. Sarà il tassista ad aiutarli.
Nel 2015 “Taxi Teheran” è stato presentato al Festival di Berlino aggiudicandosi l’Orso d’Oro, ma il film non è mai circolato in Iran dove a Panahi è stato vietato, per venti anni, di girare film, rilasciare interviste e scrivere sceneggiature.
Alla berlinale il premio è infatti stato ritirato da Hana Saedi, sua nipote e tra gli interpreti del film.
Nella parte del tassista vi è lo stesso Panahi e i clienti del suo taxi sono attori che, a loro volta, corrono seri rischi dal punto di vista della libertà personale.
Il regista ha realizzato le scene utilizzando “semplicemente” un telefonino piazzato sul cruscotto della macchina, con una piccola telecamera incorporata.
L’opera assume così un valore che va oltre la qualità tecnica, poiché interagendo con la varia umanità che sale sulla macchina, Panahi riesce comunque a far sentire la sua voce al di là delle restrizioni in cui è confinato, a far riflettere su temi umani, morali e politici.
Il film è anche occasione per riflettere sul fatto che può bastare un telefonino o poco più per realizzare un film importante.