A Ciambra
“Non importa in che lingua parli, né da dove vieni, quando parte una canzone che tutti conoscono, tutti si trovano istantaneamente sulla stessa lunghezza d’onda, tutti si muovono con lo stesso ritmo”. Jonas Carpignano, classe 1984, ha usato recentemente queste parole per descrivere la propria passione nell’uso della musica pop nei suoi film. Traslandole, è probabilmente possibile rintracciare i segni del suo cinema, arrivato con A Ciambra alla seconda prova in un lungometraggio. Per Carpignano infatti conta unicamente il linguaggio cinematografico che è espressione universale a prescindere da luoghi, culture, e soprattutto lingue. Egli stesso porta su di sé il paradigma dello sconfinamento, essendo figlio di madre African-American e di un italiano, nato e cresciuto a New York ma sempre in viaggio fra gli USA e l’Italia, dove da qualche anno ha scelto di vivere e girare i suoi lavori. Location d’elezione è Gioia Tauro, nel profondo Sud del Belpaese, culla di attraversamenti migratori e di un meticciato significativo di cui egli stesso è il simbolo. A Ciambra, infatti, è il nome dello stanziamento dei Rom di Gioia Tauro, è il loro “villaggio” fisico e spirituale. L’ambientazione è protagonista assoluta del film omonimamente intitolato, almeno quanto Pio Amato, 14enne inquieto della comunità Rom locale, sintomo di un percorso formativo per alcuni “alla rovescia”. Carpignano ci porta a casa sua, ci fa conoscere la sua famiglia senza mai alterare il ritmo naturale dell’oikos, entrando dunque in una sintonia intima e profondamente “etica” con le persone che incontra e sceglie di mettere in campo. Pio viene ripreso in A Ciambra esattamente da dove era stato “lasciato” in Mediterranea, il film precedente di Carpignano nonché il suo esordio in lungo. In esso, che mirabilmente descriveva il viaggio per la salvezza di due fratelli del Burkina Faso che approdano in Calabria, a Rosarno, attraverso mille peripezie e vessazioni, il punto di vista solido e coerente era il giovane Ayiva (Koudous Seihon) che pure ritroviamo in A Ciambra. La continuità fra i due film, pertanto, è forte quanto naturale, inducendo a indicare le due opere quali un “dittico” non solo per localizzazione e protagonisti, ma soprattutto per modus operandi della mdp dentro una piccola comunità che si fa mondo. La fluidità con cui Carpignano si muove fra i corpi, fra gli ambienti, e la sua capacità di mescolare il realismo alla poesia (per certi aspetti si può tentare di definire il suo cinema portatore di realismo magico) e la sua indubbia abilità narrativa che tiene incollato lo spettatore quale fosse di fronte a un film hollywoodiano, ne fanno uno sguardo sorprendente, coraggioso e personalissimo. Certo, c’è molto del nutrimento di cinema americano in Carpignano, che ivi si è formato e che ha fin dagli inizi avuto il Sundance a sostenerlo, ma il tutto è virato in originalità e freschezza. Talento indiscusso e “internazionale” per quanto l’Italia lo abbia fatto proprio, ha dalla sua niente meno che Martin Scorsese come produttore esecutivo e “padrino”: la speranza è che si apra un futuro luminosa a questo giovane cineasta. Per il momento A Ciambra si è conquistato il premio Europa Label alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes dove concorreva.
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