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Suicidio assistito e i disegni di legge regionale

Un argomento che coinvolge ambiti morali e giuridici

Suicidio  assistito e i disegni di legge regionale

1. Il tema del suicidio assistito da alcuni anni viene affrontato nei diversi contesti, soprattutto mediatici, con modalità riduttive, che concentrano la discussione sulle sole scelte di libertà e autodeterminazione della persona isolatamente considerata, quasi a garantire un diritto di morire contrapposto ad un inaccettabile dovere di vivere contro la propria volontà.
Eppure lo sguardo umano sul suicidio è stato, da sempre, denso di pietà ed anche di rammarico per ciò che si sarebbe potuto fare per evitare che chi si è tolto la vita prendesse la tragica decisione. E’ quindi sorprendente che si agiti un movimento cultural-giuridico che tende a ribaltare il senso del vivere, trasformando in una nuova frontiera di libertà e solidarietà il gesto contrario al tentativo di evitare un suicidio, celebrando l’aiuto da offrire a chi sia intenzionato a togliersi la vita come ultimo estremo contributo all’esercizio della sua autodeterminazione.
2. La vicenda di Eluana Englaro fece molto clamore e si concluse, a seguito di innumerevoli pronunce giudiziali, con l’autorizzazione concessa da una corte al rappresentante legale della ragazza disabile perché ne determinasse il distacco dai presidi medici che le garantivano idratazione e nutrizione, non prima di averli derubricati da mezzi di sostentamento vitale a interventi terapeutici e non prima di avere ritenuto ricostruibile a posteriori una supposta volontà della ragazza di non proseguire una vita che non presentasse le abilità e capacità cognitive delle persone sane.
Da quell’episodio, che fu risolto con pronunciamenti applicabili al solo caso concreto, si è aperto un filone di interventi giurisprudenziali via via diretti a rendere sempre più universali regole ispirate all’idea che il paziente affetto da malattia “incurabile” abbia il diritto di morire, se lo desidera, e di farsi aiutare dal sistema sanitario per esercitare tale diritto.
3. Si è arrivati così alla legge 219/2017 che ha disciplinato il consenso informato attuale e le dichiarazioni anticipate di trattamento, statuendo l’appartenenza di tutti i presidi medici di sostentamento vitale - come idratazione e alimentazione artificiale - alla categoria delle terapie che il paziente deve poter accettare o rifiutare, ma soprattutto fondando l’intervento medico su una sorta di “contratto” tra medico e paziente (il consenso informato), con il definitivo superamento del principio di “beneficienza- non maleficienza” che aveva ispirato sino a quel momento, nella storia umana, la funzione e il compito del personale sanitario. Il rischio è quindi che la decisione del paziente determini l’agire del medico, a di là delle sue convinzioni etiche.
4. La barriera abbattuta dalla legge 219 ha così aperto la strada alla pronuncia della Corte Costituzionale relativa all’articolo del codice penale (580) che, riprendendo un antico umano e ragionevole principio, sanziona la condotta di chi determini la morte di persona consenziente, in considerazione della non negoziabilità della vita, primo inviolabile presupposto di ogni altro diritto umano.
La Corte, con la sentenza 242/2019, ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 580 del codice penale nella parte in cui non esclude che sia punibile chi, con le modalità previste dalla legge 219/2017, agisce offrendo aiuto all’aspirante suicida se il proposito è maturato autonomamente e liberamente e la persona interessata “è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
5. Le indicazioni della Corte - certamente rese possibili dal precedente innovativo e molto discusso intervento del legislatore di regolamentazione generale del consenso informato attuale e anticipato ma giammai idonee a sancire direttamente il diritto al suicidio assistito - non hanno evidentemente soddisfatto la corrente culturale orientata a fare rientrare il diritto a morire tra le libertà fondamentali dell’individuo.
Così, attraverso varie e spesso forzate singole applicazioni giudiziali della normativa vigente e della sentenza della Corte costituzionale, si è passati alla ricerca di norme generali di codificazione e disciplina del suicidio assistito, con l’obiettivo della più radicale eliminazione di ogni residuo ambito di tutela della indisponibilità della vita umana, senza avvertire il timore del conseguente crollo di tutto il sistema dei diritti umani.
6. Proprio in questa chiave culturale si collocano i disegni di legge presentati in varie Regioni italiane (compresa la Liguria), con il supporto di una storica associazione impegnata sul tema, che intendono disciplinare nel dettaglio le procedure “per l’assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito” superando la semplice accettazione passiva della volontà del paziente di rifiutare le terapie o chiedere la sedazione profonda per affrontare le sofferenze più o meno finali della persona (già disciplinate dalle legge 219/2017), per giungere a far sì che il paziente possa invece richiedere più rapidamente l’intervento diretto dei sanitari per determinare la propria morte.
7. I profili di riflessione, in sintesi, sul tema del suicidio assistito in questa sede sono tre: uno etico giuridico, uno ispirato al Magistero della Chiesa e uno strettamente antropologico.
Sotto il primo profilo non può non osservarsi il contrasto della corrente culturale che sostiene il “diritto a morire” con il cammino dei diritti umani da sempre diretto a garantire universalmente la protezione dei diritti essenziali: tale cammino ha sempre orientato i nuovi traguardi verso la tutela della componente più fragile della società umana, guardando al diritto alla vita e al diritto alla salute come a fonti primarie della garanzia di umanità di una società civile e preservando lo stretto e inscindibile collegamento tra diritti inviolabili della persona e doveri di solidarietà umana (art. 2 della nostra Costituzione). La normativa di attuazione delle libertà dovrebbe, quindi, anzitutto garantire l’efficacia delle relazioni umane e della convivenza sociale e mai congelare il singolo nell’isolamento dei suoi pretesi e autodeterminati diritti.
La tutela giuridica - le corti di merito e legittimità lo hanno detto più volte - è orientata verso la vita non verso la morte. In questa prospettiva, ad esempio, è stata adottata nel 2010 una legge (n. 238) che assicura l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore per lenire le sofferenze di qualunque malattia, anche quelle inguaribili, confermando lo scopo principe della medicina e dell’opera dei sanitari, rivolto alla tutela della vita e del benessere del paziente, anche quando non sia perseguibile la guarigione, con chiara presa di posizione a favore del principio di beneficialità dell’azione sanitaria, che in alcun modo può includere l’impegno a togliere la vita, per rimuovere le sofferenze fisiche o psichiche, neppure a chi lo richieda.
Anche sul piano procedurale e costituzionale è possibile fare osservazioni. La competenza in materia è dello Stato, quindi interventi regionali diretti a disciplinare le procedure per il suicidio assistito sono certamente incostituzionali, poiché tendono a creare differenti livelli di tutela nei diversi territori. Lo Stato ha infatti competenza esclusiva sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art 117 lettera m) Cost), mentre le Regioni hanno competenza concorrente con lo stato in tema di “tutela della salute” (art 117 comma terzo), quindi certamente non possono legiferare da sole su un tema così delicato, che impone un trattamento unitario in tutto il territorio nazionale.
Quanto alla posizione della Chiesa sul tema del suicidio assistito, essa é molto chiara e coerente: “Quand’anche la domanda di eutanasia nasca da un’angoscia e da una disperazione e «benché in casi del genere la responsabilità personale possa esser diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza – fosse pure in buona fede – non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile». Lo stesso dicasi per il suicidio assistito. Tali pratiche non sono mai un autentico aiuto al malato, ma un aiuto a morire” (dalla Lettera “Samaritanus bonus” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, 22.09.2020).
Con estrema chiarezza anche Papa Francesco, peraltro in più occasioni, ha affermato che "dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. Infatti, la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata” (Udienza generale del 9 febbraio 2022).
Si tratta all’evidenza di una posizione non dogmatica ma ragionevole, fondata sulla dignità umana come incondizionata appartenenza di ogni persona al genere umano, e quindi sulla necessità di tutelare la vita in qualunque contesto e condizione, nella consapevolezza che la componente fragile della società non può essere isolata e abbandonata a se stessa e alla sua apparente volontà viziata e spesso avvilita dall’angoscia e dalla sofferenza, poiché è dovere collettivo mantenerne la protezione sotto l’egida dell’intera comunità, che sa e può farsi prossima, ed è tenuta ad accompagnare solidarmente.

“La miseria più grande – continua la lettera “Samaritanus Bonus” - consiste, però, nella mancanza di speranza davanti alla morte. Questa è la speranza annunciata dalla testimonianza cristiana, la quale, per essere efficace, deve essere vissuta nella fede, coinvolgendo tutti, familiari, infermieri, medici, e la pastorale delle diocesi e dei centri ospedalieri cattolici, chiamati a vivere con fedeltà il dovere d’accompagnamento dei malati in tutte le fasi della malattia, e in particolare nelle fasi critiche e terminali della vita, così come definito nel presente documento”.

Questa riflessione trova conferma in un quadro giuridico che ha previsto, con la normativa nazionale, l’estensione delle cure palliative e della terapia del dolore a tutte quelle situazioni nelle quali non possa essere garantita la guarigione dalla malattia acuta o cronica.

È irragionevole ritenere che “dare la morte” sia una soluzione umanamente accettabile quando in realtà comporta il rifiuto della condivisione del dolore altrui e l’incapacità di garantire presenza e presa in carico di chi soffre e della sua famiglia, vere soluzioni di umanità e rispetto della dignità umana, anche nella sofferenza.
Infatti ed infine, proprio sotto il profilo antropologico come non avvertire i rischi derivanti dal riconoscere pienamente negoziabile la vita umana, al pari di qualunque altro oggetto della lex mercatoria, al punto da posporre il valore primario dell’esistenza umana rispetto alle procedure che ne regolano il divenire nella società. Purtroppo non riusciremo mai ad evitare tutti i suicidi che si verificano, ma altro è pretendere che la comunità sia tenuta ad effettuarli: questo radicale cambiamento di prospettiva rischia di le disumanizzare e relazioni umane, contraddire l’etica medica, condannare la persona all’isolamento e alla disperazione, allontanando dall’orizzonte del sofferente il diritto e la speranza di essere accuditi.
E come non preoccuparsi di una deriva culturale che sembra voler restaurare a maggioranza la legge del più forte nella convivenza sociale, declinando la dignità umana in funzione delle abilità e capacità cognitive di ogni persona e introducendo nuove forme di discriminazione, celate dietro il pretesto di soddisfare la libertà di autodeterminazione, ma dirette in realtà a far dimenticare che proprio al cospetto della vita sofferente si misura la forza dei legami sociali, la giustizia degli interventi delle istituzioni, il senso del diritto, la verità dell’umana natura.

Fonte: Il Cittadino
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