La priorità sia curare la sofferenza e non favorire l’accesso alla morte
L’Unione Giuristi Cattolici interviene nel recente dibattito sul fine vita
Lo scorso 13 maggio presso la II Commissione (Salute e Sicurezza Sociale) dell'Assemblea Legislativa della Regione Liguria si è tenuta una audizione relativa al progetto di legge 171/2024 - “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale”.
Il fine di tale progetto è far sì che la Regione Liguria predisponga all'interno del proprio servizio sanitario anche l'assistenza medico infermieristica per coloro che intendono porre fine alla propria vita. La Sentenza della Corte costituzionale sopra citata, infatti, ha creato, a determinate condizioni, un’area di non punibilità per coloro che assistono chi ha deciso di porre fine alla propria esistenza (fattispecie sanzionata dall'art. 580 del codice penale). È purtroppo chiaro che tale tentativo in atto presso la Commissione Salute, pur non dichiaratamente, mira ad aprire la strada verso la liberalizzazione dell'eutanasia, in aperto contrasto con la sacralità della vita ed a danno delle persone più fragili.
Certo, non è mai facile trattare in maniera teorica e tecnica argomenti che riguardano così intimamente la vita e la coscienza delle singole persone, ancor più quando sono presenti la malattia, il dolore, la sofferenza morale. Homo sum, humani nihil a me alienum puto. E tuttavia, proprio per questa solidarietà nelle gioie come nei dolori che lega il consorzio umano, è doveroso come cittadini e come cattolici far sentire la propria voce.
All'audizione hanno partecipato, esprimendo parere contrario alla proposta di legge: il Prof. Liotta (Centro Studi Livatino), l’Avv. Marinelli (Movimento Forense), l'Avv. Gamba (Movimento per la vita), l'Avv. Panfili (Osservatorio legislativo della Conferenza Episcopale Ligure) e l'Avv. Vinelli (delegato dalla Presidente Laura Oliveri per l'Unione Giuristi Cattolici di Genova).
In particolare, il delegato genovese della Unione Giuristi Cattolici ha precisato che la Corte Costituzionale nella evidenziata sentenza, pur indicando i requisiti per la non punibilità nei casi di aiuto al suicidio (art. 580 c.p.), indica chiaramente come debba essere il Parlamento a dover deliberare al fine di regolamentare la materia (non solo per l’ambito penale ma anche per il diritto civile).
Un intervento regionale non sarebbe ammissibile nemmeno sulla scorta di una presunta inerzia del Parlamento, dato che la scelta di disciplinare la materia rientra nella discrezionalità e nell’esclusiva disponibilità del Legislatore nazionale. La competenza regionale è limitata al settore sanitario e vi è un "buco" logico fra l'invito a deliberare della Corte costituzionale al Parlamento ed un presunto dovere di attuare le indicazioni della Corte Costituzionale da parte della Regione. Qualora ciascuna Regione e Provincia autonoma potesse deliberare nella materia di cui al progetto di legge, verrebbe a crearsi una strutturale differenziazione territoriale nell’applicazione dei canoni della sentenza costituzionale numero 242/2019 e verrebbe a mancare una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale.
La decisione della Consulta non sancisce un diritto a prestazione del Servizio Sanitario Nazionale e men che meno un diritto a morire, ma individua esclusivamente un’area di non punibilità riferita all’articolo 580 c.p., subordinata al ricorrere di determinate condizioni, affermando, piuttosto, la necessità di tutelare il diritto alla vita.
Il dovere costituzionale di solidarietà, elemento aggregante di ogni comunità umana, impone che il sistema sanitario italiano debba offrire al malato sofferente la cura dal dolore: solo garantendo ai malati l’efficacia e la tempestività delle cure (anche palliative), unitamente all’assistenza sociale e psicologica, le Regioni possono attuare il proprio dovere in campo sanitario; poiché non va dimenticato che anche le Regioni, nel panorama costituzionale, hanno il compito di concorrere alla tutela della vita, garantendo a ciascun cittadino dignità e protezione anche nei momenti di maggiore fragilità.
Mentre si discute di garantire il diritto alla morte, sono purtroppo fatti notori le carenze ed i ritardi nella sanità pubblica in Liguria, in primis la mancanza di tempestività delle cure per malati gravi (ad esempio oncologici). In tali frangenti appare difficile per il malato pensare con serenità a scegliere di porre fine alla propria vita, quando non vede garantito appieno il diritto alla salute, nell’ampiezza che l’art. 32 della Costituzione gli dovrebbe garantire. Egualmente, in presenza di inefficienze, non è facile per i medici ed il personale sanitario prestare il proprio servizio al prossimo con completezza e rispetto dei propri doveri, anche deontologici; perché troppo spesso si sminuisce e si ignora l’attività estenuante, anche sotto il profilo umano, di chi opera nella Sanità: per dirla con Balzac “il medico tende al bene come l’artista tende al bello, spinto da un ammirabile sentimento che chiamiamo virtù”.
L’Unione Giuristi Cattolici ha voluto concludere la propria audizione affermando che la priorità, anche politica, non deve dunque essere favorire l’accesso alla morte, ma curare la sofferenza.
E’ una scelta fra civiltà di vita o civiltà dello "scarto"; bisogna evitare pressioni psicologiche su persone malate e spesso depresse, al fine di non farle sentire un peso per la società o per la famiglia. Non può, non deve passare il concetto che gli ammalati siano soggetti con minor dignità.
* Membro del Consiglio Direttivo di UGCI
Unione locale di Genova “Ettore Vernazza”
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