Se l'istruzione è un bene di famiglia...
Il titolo di studio dei genitori è un valore aggiunto nella formazione dei figli
Nell’annuale Rapporto ISTAT sui “livelli di istruzione e i ritorni occupazionali” riferito ai dati rilevati nel 2023, si evidenzia come il titolo di studio posseduto dai genitori resti un valore aggiunto per il percorso formativo dei figli.
Quando infatti i genitori hanno un basso livello di istruzione quasi un quarto dei figli (il 24%) abbandona precocemente gli studi mentre di converso questa percentuale scende precipitosamente al 2% se il padre o la madre sono laureati.
E mentre in un contesto familiare culturalmente deprivato solo il 10% dei figli completa il corso di studi fino alla laurea, in presenza di un genitore in possesso di laurea questo dato sale fino al 70% dei casi. E’di tutta evidenza come la famiglia sia non solo un ambiente relazionale e affettivo – realtà peraltro pur sempre fondamentale per una crescita psico-fisica positiva della prole – ma inoltre come il dato culturale e più specificatamente il possesso di un titolo di studio elevato- segnatamente una o due lauree – conseguito dei genitori, rappresenti un atout di assoluto rilievo peraltro incidentale nel curricolo scolastico dei figli fino al raggiungimento, a loro volta, del più alto titolo di studio. Considerando inoltre la fascia di popolazione compresa tra i 25-64enni, il tasso di occupazione dei laureati è 11 punti percentuali più alto di quello dei diplomati (84,3% e 73,3%, rispettivamente); il gap sale a 15,7 punti tra gli under 35 che hanno conseguito il titolo da uno a tre anni prima (75,4% e 59,7%).
Il “fattore istruzione” si rivela determinante in una società aperta all’innovazione e tendente al progresso economico e di status: si potrebbe affermare che il piano terra del famoso ascensore sociale che porta ai piani alti di un curricolo scolastico completo e – prodromicamente – a posizioni lavorative più remunerate sia rappresentato dal punto di partenza coincidente con il contesto nativo e domestico del figlio-alunno-studente.
Si tratta delle “opportunità di partenza” le cui diseguaglianze dovrebbero essere compensate dalla scuola, per realizzare l’uguaglianza delle “opportunità di arrivo”.
Ne consegue – secondo le rilevazioni statistiche dell’ISTAT – che resta invariato il vantaggio potenziale sul piano occupazionale tra chi consegue una laurea e chi si ferma al diploma. Nel 2023, tra chi possiede un titolo di studi universitario, il tasso di occupazione raggiunge l’84,3%, valore superiore di 11 punti percentuali rispetto a quello di chi ha un titolo secondario superiore (73,3%) e di 30 punti percentuali rispetto a chi ha conseguito al più un titolo secondario inferiore (54,1%). Il tasso di disoccupazione dei laureati, pari al 3,6%, è invece significativamente più basso rispetto a quello dei diplomati (6,2%) e a quello di coloro con basso titolo di studio (10,7%).
Si conferma, dunque, l’evidente “premio” occupazionale dell’istruzione, in termini di aumento della quota di occupati al crescere del titolo di studio conseguito. Resta tuttavia un gap non ancora colmato tra i suddetti livelli occupazionali riferiti al titolo di studio posseduto nel nostro Paese e la media dei Paesi dell’U.E. e ciò vale anche per le retribuzioni, significativamente più basse in Italia che nella maggior parte del resto d’Europa.
Non è un caso che il fenomeno del “brain drain” (la fuga all’estero dei cervelli) sia tuttora rilevante e se mai crescente in maniera esponenziale: giovani medici, ingegneri, informatici, fisici …. laureati in prevalenza in materie scientifiche che se ne vanno altrove in cerca di maggior considerazione retributiva. Tanto è vero che sempre più spesso sentiamo parlare del fenomeno opposto – il brain gain – cioè l’ingresso per lavoro in Italia di laureati e specialisti provenienti da Paesi delle economie emergenti, che qui trovano un’occupazione che nel contesto d’origine scarseggia a motivo di quadro occupazionale generalmente meno evoluto, sul piano istituzionale e strutturale, pur a fronte di una formazione secondaria o terziaria equivalente alla nostra. L’ISTAT evidenzia inoltre come in Italia il numero dei laureati sia ancora inferiore alla media europea, che le donne – pur essendo più istruite degli uomini- (nel 2023, il 68,0% delle 25-64enni ha almeno un diploma o una qualifica (62,9% tra gli uomini) e coloro in possesso di un titolo terziario raggiungono il 24,9% (18,3% tra gli uomini) – accusino un gap occupazionale di ‘genere’ ancora elevato, specie per le cd. lauree STEM, infine che i lavori a breve termine siano legati a bassi livelli di istruzione.
E mentre si conferma che l’abbandono scolastico implementa in relazione a contesti familiari poco acculturati, la deriva positiva riguarda la decrescita graduale dei “giovani NEET” (che non studiano e non lavorano): un dato che induce speranze di innalzamento dei livelli formativi, occupazionali e di distribuzione economica, per una società più aperta ed inclusiva.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento