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50ma Settimana sociale a Trieste: cosa rimane?

Ai cattolici spetta il grande compito di evitare le polarizzazioni

Che impatto avrà la 50ª Settimana sociale dei cattolici italiani di Trieste sul cosiddetto mondo cattolico? “Al cuore della democrazia”, “la persona al centro”, “individualismo”, “assenteismo”, “politica”, “buone pratiche”, partecipare”, “parteggiare”. “documenti”, dichiarazioni di intenti”.

E adesso, chi passa dalle affermazioni e dalle parole ai fatti? Non possiamo certo pensare che il peso di un cambiamento sia sulle spalle di chi ha preparato, partecipato o seguito i lavori da lontano. La messa a terra (espressione ormai di moda) spetta ora a tutto il mondo cattolico, nessuno può e deve sentirsi escluso; nessuno può e deve illudersi di andare avanti da solo. Ne va dell’unità e della reale possibilità di dare voce a chi non ha voce. E non si tratta neppure di inseguire avventure improvvisate, raffazzonate, affrettate. Nessuno salva la patria da solo sulle ali di un comprensibile rinvigorimento. Occorre considerare alcuni aspetti. Innanzitutto recuperare unità e appartenenza.

Appartenenza al Vangelo innanzitutto: come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; come cittadini abbiamo la Costituzione, “bussola” affidabile per il cammino della democrazia, «un’autentica adesione al Vangelo esige di ribadire la dignità umana in tutte le sue dimensioni. Un vangelo che non solo deve essere attinto, ma messo in pratica nella sua completezza e nella universalità di persone e questioni.

In secondo luogo è necessario a recuperare il senso di appartenenza alla Chiesa, al popolo di Dio che agisce unito nella storia. È evidente il richiamo e il collegamento al cammino sinodale durante il quale abbiamo coltivato e maturato una “forma di insieme”, uno stile di comunione che dovrebbe essere esempio universale. «La fraternità – ha detto il Papa nel suo discorso a Trieste – fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo.

Ci vuole coraggio per pensarsi come popolo e non come io o il mio clan, la mia famiglia, i miei amici. Per affermare che la società è di più della mera somma degli individui è necessario il termine “popolo” che non è populismo. No, è un’altra cosa: il popolo. È molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo. Una democrazia dal cuore risanato continua a coltivare sogni per il futuro, mette in gioco, chiama al coinvolgimento personale e comunitario. Sognare il futuro».

Per i credenti partecipare è dunque molto di più di un contributo alla democrazia e al bene comune; è una via per fare amicizia sociale, è agire politicamente con carità, è via di evangelizzazione. Unità e appartenenza sono da rinsaldare per sconfiggere quel “parteggiare” e spesso quel patteggiare che è ostacolo alla democrazia e alla sincera realizzazione del bene comune.
Per questo chi si assume responsabilità in campo politico, negli ambiti amministrativi e comunque istituzionali ha bisogno non solo del sostegno e di una delega elettorale ma dell’accompagnamento, della condivisione di un popolo che, dal basso, non delega ma partecipa.

A Trieste mons. Castellucci (vice presidente della CEI) ha sottolineato il dovere di evitare polarizzazioni. «C’è una polarizzazione di idee a livello sociale ma anche comunicativo abbastanza evidente. Sono le logiche binarie della comunicazione alle quali si fa fatica a fuggire. Ma - ha aggiunto - la cosa più preoccupante è che questa polarizzazione c’è anche dentro alla comunità cattolica. Sembra che faccia più presa l’appartenenza politica che quella ecclesiale, il che interroga la nostra capacità di evangelizzazione: un’autentica adesione al Vangelo esige di ribadire la dignità umana in tutte le sue dimensioni. Cioè di saper affermare il valore della vita nel grembo e nel barcone, tutelare l’ambiente e la famiglia insieme».

In un’intervista di questi giorni il vescovo Baturi (segretario della CEI) ha ribadito che i «cattolici devono riconoscersi in principi condivisi, il che implica una dinamica di incontro. La Costituzione è nata anche dall’iniziativa dei cattolici che hanno avuto l’ardire di dialogare con tutti. La partecipazione ecclesiale, quando è seria, provoca amicizia, un’amicizia sociale in cui non viene meno la passione per la verità ma la si riconquista continuamente nello scambio con l’altro. E - ha ancora precisato Baturi - il compito dei cattolici è stare dentro lo sguardo che Cristo aveva verso le folle. In secondo luogo, pensando che l’unità fra di noi non è un’opzione a posteriori ma viene a priori. Di fronte al pluralismo è necessaria la coerenza rispetto a una scelta di fede. Pertanto è importante sapere integrare il proprio punto di vista con quello del fratello. Ma non può esserci divisione fra l’amore verso la vita nascente e quello allo straniero, per citare due esempi. Il bene dell’uomo è unitario».

E adesso è quindi il momento di fondare lo slancio di partecipazione alla vita democratica del paese sulle basi solide di unità e appartenenza, di una coscienza ecclesiale che ci rende capace di trasformarci per cambiare, per dare voce a chi non ha voce, speranza a chi cerca.

Fonte: Il Cittadino
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