Intelligenza artificiale in campo educativo, sfida o opportunità?
In una classe delle medie, 18 alunni su 23 hanno utilizzato Chat GPT per scrivere un testo
La rivista Orizzonte Scuola riferisce una vicenda significativa per inquadrare nel panorama variegato degli istituti scolastici, quali situazioni e con quali conseguenze l’uso disinvolto delle tecnologie, l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione pervasiva stiano radicalmente modificando la scuola e con essa il concetto di istruzione, apprendimento, educazione: insomma una visione decisamente alterata dei principi pedagogici che hanno ispirato la didattica fino ad oggi.
La notizia è questa: in una classe terza di scuola media inferiore (o secondaria di primo grado, che dir si voglia) 18 alunni su 23 hanno consegnato al professore di lettere un tema, assegnato come compito a casa, elaborato utilizzando ChatGPT (un trasformatore generativo pre-addestrato) che si basa sull’I.A. nell’interazione con un essere umano ed è in grado di elaborare testi simili a quelli che potrebbe produrre una persona decisamente acculturata. Il suo rendimento è infatti ‘tarato’ sulla “ottimizzazione” dei risultati.
Nel caso considerato il tema restituito dagli studenti che non ne hanno scritto il contenuto ma si sono affidati all’I.A. risulta ineccepibile nella forma, logico e consequenziale nello sviluppo narrativo e semantico: peccato che gli pseudo-autori di cotanta eccellenza non siano poi stati in grado di spiegare la trama né di dimostrare di averne compreso il significato.
Una mera applicazione dell’innovazione digitale al di fuori dei criteri che hanno sempre ispirato gli apprendimenti: conoscere, comprendere, applicare, analizzare, sintetizzare, usare il pensiero critico e quello creativo: sono i livelli crescenti della cosiddetta “tassonomia di Bloom”, un metodo applicato allo studio e all’insegnamento, nato negli USA ed esportato in tutto il mondo, che implica una graduale consapevolezza sulle tappe che ogni alunno – in modi e temi diversi – dovrebbe percorrere.
Sembrava una costruzione teoretica (iconicamente rappresentata in modo piramidale) in grado di attribuire una logica ai processi di istruzione: ora l’I.A. e strumenti come ChatGPT, consentono di ottenere gli stessi risultati in tempi assai più brevi, utilizzando appunto algoritmi preordinati. Si saltano i gradini e la loro consapevole cognizione e si arriva subito al risultato.
Il problema c’è ed è tuttavia dirimente: un tempo si copiava dal Bignami, da un bravo compagno di classe, dagli appunti portati da casa in foglietti piegati e miniaturizzati, da nascondere sotto il banco. Ma spesso dalla somma di questi addendi uscivano fuori strafalcioni poi smascherati con facilità, senza un nesso logico di sviluppo che ne sostenesse l’insieme.
Usando l’I.A. riesce difficile opinare sul merito del risultato: il tema è perfetto, lo stile forbito, l’ortografia corretta. Il problema nasce dall’assenza totale di comprensione e consapevolezza sul contenuto dello scritto da parte dell’alunno che utilizza un pacchetto preconfezionato e tarato sul titolo e le richieste dell’elaborato.
Certamente un compito svolto a scuola sarebbe stato soggetto al controllo del docente, a condizione che smartphone e tablet non fossero fraudolentemente importati ed utilizzati in classe.
L’uso dell’I.A. (e siamo solo agli inizi) sta diventando un abuso: l’introduzione massiva delle tecnologie espungendo penne, quaderni e libri si avvia a produrre un risultato che provo a sintetizzare nel modo seguente.
Mentre nella scuola tradizionale ciò che veniva spiegato dai docenti, letto sui libri o frutto di ricerche mirate comportava un processo di interiorizzazione e metabolizzazione del sapere, adesso è possibile bypassare fatiche, impegni, diligente applicazione, sforzo cognitivo, personalizzazione del risultato semplicemente assegnando alle macchine il compito di elaborare in tempi brevi il prodotto finale.
La differenza è questa: si passa dall’interno all’esterno, non più attraverso l’uso del ragionamento che comportava una sosta di riflessione sulla conoscenza.
Probabilmente si arriva prima ma non sempre si va più lontano.
I giovani alunni di quella scuola che - anziché esprimere proprie idee nel tema assegnato l’hanno affidato ad una elaborazione virtuale che poi non sono stati in grado di comprendere e spiegare - hanno mosso un passo verso l’abbandono del pensiero critico.
Imparare non si riduce a rispondere a dei test, insegnare non significa attribuire ad essi dei punteggi. A scuola la buona educazione, l’istruzione, gli apprendimenti passano sempre attraverso le relazioni tra le persone.
A Genova, per approfondire la questione attuale dell'AI, venerdì 12 aprile alle ore 18.30 nella Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale Padre Paolo Benanti (Professore alla Pontificia Università Gregoriana e Presidente della Commissione sull’Intelligenza Artificiale per l’informazione) e il Professore Davide Anguita (Coordinatore dei Corsi di Studio in Ingegneria informatica e Computer Engineering dell’Università degli Studi di Genova) intervengono sul tema “Intelligenza Artificiale: sfida educativa e sociale”.
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