Un affare di famiglia
Ambientato in Giappone
Regia e sceneggiatura di Hirokazu Kore-Eda. Giappone, durata 120 minuti.
Siamo in Giappone, ai giorni nostri: in una piccola casetta, all’interno di una grande città, vive la coppia Osamu (operaio) e Nobuyo (dipendente in una lavanderia). Insieme a loro vi è la nonna, la figlia adolescente e il figlio più piccolo, Shota. Talvolta Osamu compie qualche furtarello al supermercato poiché i salari non bastano per vivere. Un giorno, tornando dal negozio dove hanno rubato qualche cosa, Osamu e Shota trovano per strada una bambina che appare maltrattata e abbandonata e Osamu decide di accoglierla in casa sua. Tutto sembra scorrere come sempre per questa famiglia, un imprevisto porterà a galla alcuni segreti.
Vincitore della Palma d’Oro a Cannes di quest’anno, il regista giapponese gira un film giocato su più registri. Da una parte, Kore-Eda ci dà un ritratto di un nucleo familiare che, aldilà delle ristrettezze, riesce comunque a trovare calore in se stesso, ma dall’altra parte ciò che mostra, soprattutto, è l’emarginazione di molta gente, anche nel ricco Giappone. Dimentichiamo perciò l’immagine del Giappone delle grandi città con grattacieli, luoghi sofisticati, in cui tutti si muovono in un vortice aziendale o immagini Zen; qui ci troviamo nella zona suburbana dove vivono i poveri, dove i protagonisti si muovono in interni piuttosto angusti, e solo raramente si permette una gita sulla spiaggia. Il racconto può far pensare a certe periferie e a racconti di Dickens (dati le varie forme di espedienti a cui vengono allevati i figli), ma forse il riferimento più importante va alla cinematografia neorealista. E’ comunque un’opera che muove alle risate e alla commozione, che suggerisce molte riflessioni dal punto di vista morale. Naturalmente, “Un affare di famiglia” è rivolto soprattutto ad un pubblico preparato.
Mariangela Grilli
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