Sully
Clint Eastwood continua a girare film con il suo stile essenziale, scarno, classico. Prosegue nella sua ricerca di un cinema che sia “evidente” e proprio per questo totalmente efficacie nel linguaggio e nelle storie che racconta. I giovani registi della Nouvelle Vague amavano, tra i tanti registi del cinema classico, Howard Hawks perché gli riconoscevano la perfezione di uno stile evidente: uno stile, cioè, in cui il regista scarnificava ogni manierismo per andare al centro del racconto e al centro del messaggio che voleva veicolare. In questo senso, possiamo accomunare Eastwood a Hawks: entrambi amano un cinema della trasparenza, un cinema che vada dritto al centro di quello che ci vuole dire senza altri orpelli. E inoltre entrambi hanno praticato generi differenti: dal western, al gangster fino al film storico e biografico. Dunque, c’è una linea sotterranea ma assolutamente presente che lega Eastwood a un grande autore della classicità. E si può affermare che il regista di Carmel, California, che è passato dal mestiere di attore a quello di regista con grande fortuna e soprattutto con grande successo critico, sia uno dei pochi che continuano a portare avanti, intatta, la lezione del grande cinema hollywoodiano. Tutto questo è evidente nella sua nuova fatica, “Sully”, pellicola che è stata campione d’incassi in America e che è da settimane in testa al botteghino italiano, avendo sbaragliato tutti i cine-panettoni che, come sappiamo, nel periodo natalizio godono delle preferenze del pubblico.
Il 15 gennaio 2009 il pilota Chesley Sullenberger non immaginava che, pochi minuti dopo essere salito a bordo del suo Airbus A320-214 della US Airways all’aeroporto LaGuardia di New York, sarebbe diventato un eroe nazionale e il primo responsabile del salvataggio di 155 vite – compresa la sua – in uno spettacolare atterraggio a pochi metri di distanza dai grattacieli di Manhattan. La sua prodezza, cioè quella di compiere un atterraggio di emergenza sul fiume Hudson, fece il giro del mondo e fu narrata per giorni dai mezzi di informazione. Il pilota dovette, però, subire anche un’indagine interna che mise in dubbio le sue scelte al momento dell’avaria dell’aereo. Da eroe, dunque, Sully si ritrovò, poi, sul banco degli imputati, impegnato a difendersi perché le simulazioni al computer sull’incidente dimostravano che avrebbe potuto e dovuto atterrare a LaGuardia e non rischiare un ammaraggio, che di per sé è la scelta più pericolosa e fatale per gli aerei.
Nel raccontare la storia di questo eroe comune (perfettamente incarnato da Tom Hanks), un uomo qualunque che sa fare il suo lavoro, e che si trova suo malgrado al centro di un processo mediatico, Eastwood vuole riaffermare l’importanza e la centralità del “fattore umano” contro ogni tipo di suggerimento tecnologico: alla fine del processo, infatti, si scoprirà che i calcoli dei computer sono sbagliati e che Sully ha fatto l’unica scelta giusta. L’uomo vince sulla macchina, l’umanesimo sulla tecnologizzazione. Un film che non drammatizza alcun momento ed evita così il rischio di una celebrazione del protagonista, che viene raccontato con uno stile sobrio, essenziale, “evidente”. Come un cristallo perfetto, quello dalla forma più semplice, il film di Eastwood si mostra in tutta la sua chiarezza e profondità al tempo stesso. Senza dimenticare, naturalmente, la lezione del migliore cinema classico: quella del buon intrattenimento.
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