Cesare deve morire
Regia di Paolo e Vittorio Taviani. Durata: 76 minuti.
Regia di Paolo e Vittorio Taviani. Durata: 76 minuti.
S iamo a Roma nel carcere di massima sicurezza di Rebibbia: si sta concludendo la rappresentazione teatrale del "Giulio Cesare" di William Shakespeare. Dopo gli applausi gli spettatori escono dal teatro e le guardie riportano in cella gli attori. Di ognuno degli attori viene detto il nome e il motivo della detenzione. Quindi torniamo a sei mesi prima: viene presentato il progetto teatrale ai detenuti, i quali possono presentare domanda per recitare e, quindi sostenere un provino. Dopo l'assegnazione dei ruoli, si avviano le prove, fino a ritornare al momento iniziale della narrazione. Film intenso, straordinariamente asciutto, ben poco incline ad ogni tentativo di impietosire ipocritamente lo spettatore, questo di Paolo e Vittorio Taviani, i quali, con "Cesare deve morire", hanno appena meritatamente vinto l'Orso d'Oro a Berlino.
Con un bianco e nero (pochi i momenti a colori) efficacissimo, per nulla "patinato", che a tratti riesce a rendere la ruvidezza del luogo e dei protagonisti, la narrazione è condotta attraverso le prove del testo scespiriano, almeno nei suoi tratti salienti, lasciando emergere in sordina qualche momento della vita dei detenuti, ma soprattutto lasciando loro la possibilità di identificarsi nei vari personaggi, mentre l'ambiente del carcere, dalle celle ai cortili, diventa di volta in volta palcoscenico.
Negli ultimi anni si stanno sperimentando esperienze teatrali nelle carceri e proprio a Genova alcuni carcerati di Marassi hanno portato in scena degli spettacoli ("Endurance", "Pinokkio & Co") e chi è andato ad assistere a questi spettacoli sa bene con quanta intensità veniva vissuta dagli "attori" la rappresentazione. E dunque, da spettatori diventa inevitabile chiedersi, in quale misura, per i detenuti (alcuni di loro hanno una condanna che recita "fine pena mai") oltre che una semplice possibilità di uscire con la mente dalla propria condizione, il teatro possa essere un modo per riflettere su se stessi, sulle proprie azioni, insomma, un'esperienza che contribuisca anche ad una crescita umana e morale.
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