Tre manifesti ad Ebbing, Missouri
Regia di Martin McDonagh
Passato in Concorso alla 74a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia e uscito nelle sale italiane dall’11 gennaio, il film “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh è uno dei titoli forti della corsa ai premi Oscar 2018, cerimonia che si terrà domenica 4 marzo. Un film di certo non facile, di taglio problematico, perché scandaglia il dolore e la disperazione di una madre dinanzi alla violenza e all’uccisione della figlia; un delitto che però non trova colpevoli, ma solamente silenzi e omertà. Un film urlato, ruvido, aspro, ma capace di offrire un ritorno di senso nel percorso di maturazione della protagonista, che attraversa il male ma non si lascia contaminare da esso.
Veniamo alla storia: Mildred Haynes (Frances McDormand) è una donna sui cinquant’anni che vive nella cittadina di Ebbing nel Missouri, nel cuore rurale degli Stati Uniti. Ha perso sua figlia, vittima di un’aggressione con violenza. Ferita e provata dall’accaduto, Mildred è costretta a subire anche l’inerzia delle forze dell’ordine, incapaci di individuare i responsabili. Nessuno sa, nessuno ha visto nulla. Presa da rabbia e disperazione allora la donna decide di scrivere dei messaggi, delle domande, su tre cartelloni stradali subito fuori dalla cittadina di Ebbing. Riuscirà a scuotere le coscienze? A infrangere l’assordante silenzio?
Possiede una grande forza espressiva la sceneggiatura del film, firmata sempre dal regista Martin McDonagh, capace di alternare momenti bui, drammatici, con inserti di umorismo, che vira però verso il noir. “Il punto di partenza” – ha dichiarato McDonagh – “è molto triste, ma la storia è ricca di momenti comici e commoventi. Credo che sia questo il modo in cui vedo la vita. Vedo la tristezza, ma la mia tendenza è sempre quella di stemperarla con l’ottimismo, con l’umorismo, per quanto nero, e con la lotta contro la perdita della speranza”.
Aspetto centrale nella riuscita del racconto è l’interpretazione del personaggio di Mildred, affrontato con energia e sensibilità da una sempre brava Frances McDormand, così come dei due poliziotti incaricati delle indagini, dai profili meno luminosi ma ugualmente rilevanti, cui prestano il volto gli altrettanto bravi Woody Harrelson e Sam Rockwell. Tutti e tre gli attori sono candidati all’Oscar.
In particolare, però, rimane indelebile la figura di Mildred, che si muove sulla frontiera della disperazione, sola e incompresa nel suo dolore, urlando tutto il suo malessere. Quella che Mildred vede è una cittadina, un’umanità, disgregata e individualista, incapace di compassione e moti di coraggio, il coraggio di andare incontro alla verità. La donna così, per buona parte della narrazione, si lascia andare ad atteggiamenti anche sconvenienti, eccessivi, aggredendo le persone e amplificando tutta la sua rabbia. Ne esce fuori un percorso cieco e tortuoso. Ma alla fine fa il suo ingresso un raggio di luce, di flebile speranza: Mildred si sente svuotata sì, ma non al punto da abbandonarsi definitivamente all’odio. Capisce che odiare non può essere la sola soluzione possibile, pertanto inizia a incamminarsi sulla strada della riconciliazione con la vita. Un approdo, quello di Mildred, che offre allo spettatore – un pubblico adulto e consapevole – una prospettiva interessante sulla caduta e la risalita, sulla forza di opporsi al logoramento indotto dal male per guardare avanti, in cerca di un orizzonte di possibilità.
ACEC
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