Mia madre

Regia di Nanni Moretti - Durata 106 minuti.

Margherita è una regista che sta girando un film su una fabbrica che viene venduta ad un americano e sulle conseguenti proteste degli operai; mentre le cose sul set vanno avanti tra problemi e ostacoli, anche la vita privata non è del tutto serena: Margherita è separata e ha una figlia che va male a scuola; soprattutto è l’anziana madre che dà preoccupanti segni di debolezza per cui viene ricoverata in ospedale. Al fianco di Margherita c’è il fratello, Giovanni, in aspettativa per poter seguire la madre in ospedale. Nanni Moretti torna a girare un film dai riflessi intimi e autobiografici, affidando il suo alter ego a Margherita Buy e giocando su più registri: le difficoltà (quasi tragicomiche) sul set, il divario tra realtà e finzione (per certi aspetti “Mia madre” è costruito come “8 e ½” di Fellini); ma su tutto emerge la difficoltà da parte di Margherita (nome del personaggio della Buy) di affrontare il dolore per la perdita della madre. Accanto a lei sta Giovanni, figura malinconica e sofferente, eppure più presente e sicuramente più affettuoso. “Mia madre” è un’opera complessa e stratificata, a tratti non si può far a meno di pensare a “La stanza del figlio”, ma se (per fortuna!) là tutto era finzione, qui il lutto è reale e proprio intorno a questo sentimento si gioca il meglio del film: ciò che poteva rappresentare la madre, il dolore del presente, la nostalgia per chi non c’è più e le domande di chi resta. “Mia madre”, insomma, è un’opera con molte sfumature e non manca di suscitare diverse perplessità, come l’assenza del senso della trascendenza, ma sicuramente è capace di suscitare riflessioni sul senso del cinema, sul regista stesso. Il rapporto e l’affetto tra la madre e i due figli viene trattato in modo delicato, basato più sul non detto, mai sfacciato, a tratti profondamente commovente.