Mai così vicini
A quasi trent’anni dalla commedia romantica per eccellenza, “Harry ti presento Sally”, il regista americano Bob Reiner torna a dirigere una storia d’amore “Mai così vicini” che si muove tra il comico e il sentimentale, con grazia e senza eccessi. Ma se allora i protagonisti della pellicola erano due giovani ragazzi appena usciti dal college, gli amici e poi amanti Meg Ryan e Billy Cristal, oggi al centro della storia raccontata Reiner mette due individui adulti, che hanno perso i rispettivi coniugi e che credono di non poter chiedere niente di più alle loro vite. La storia di due anime sole che si incontrano, si incontrano, imparano a rispettarsi e scoprono che la vita può riservare sempre sorprese. Oren era il migliore agente immobiliare di tutta la contea di Fairfield, ma nel mercato depresso post crisi non riesce a piazzare la sua stessa villona al prezzo che si era prefissato, dopo la morte della moglie. In attesa di concludere quella vendita e trasferirsi nel Vermont, Oren si è parcheggiato in un appartamento pieno di scatoloni nel piccolo complesso residenziale sulla costa che è di sua proprietà, e ha affittato gli appartamenti attigui ad un gruppetto di vicini che non ne possono più del suo caratteraccio. Fra questi c’è Leah, vedova inconsolabile e cantante di nightclub, un’anima sensibile che non riesce ad esibirsi in pubblico senza scoppiare in lacrime e nasconde il suo aspetto ancora assai gradevole dentro abiti severi. Quando Luke, il figlio di Oren con un passato di tossicodipendente, affida al nonno la figlia Sarah, gli equilibri fra i due vicini saltano. Riuscirà la gentilezza di Leah a fare breccia nella corazza di quell’uomo scorbutico e politically incorrect il cui complimento migliore per lei è: “Ho venduto case molto più vecchie di te, e in condizioni peggiori”?
“Mai così vicini” si inserisce perfettamente nel filone inaugurato da “Voglia di tenerezza” e proseguito recentemente con “Tutto può succedere” ed “È complicato”: commedie interpretate da un cast di mezza età, sono in realtà piccoli corsi di educazione sentimentale per i nostri tempi complessi. In questo tipo di film la vecchiaia è sinonimo di saggezza, acquisita o da acquisire, invece che spunto comico-grottesco o, peggio ancora, pretesto patetico. Il film non eccede nel sentimentalismo manipolativo e non ricorre ai colpi bassi e alle battute grevi per far sorridere e il merito, oltre che di Reiner, è della coppia di protagonisti: Diane Keaton, sempre più luminosa e credibile nel ruolo di una donna che ha capito dove risiede la vera femminilità, e Michael Douglas in un ruolo che sembra (e probabilmente era) scritto per Jack Nicholson, protagonista del precedente sforzo registico di Reiner, “Non è mai troppo tardi”.
Douglas non solo è perfettamente credibile nel ruolo dell’anziano acido e incattivito e tuttavia non privo di charme, ma evita di gigioneggiare nella parte (come probabilmente avrebbe fatto Nicholson) rivelando tempi comici perfetti che rendono le sue (ben scritte) battute le più riuscite. Una pellicola garbata che parla di sentimenti intramontabili e anche della capacità di ognuno di noi di migliorarsi grazie all’interazione con chi ci sta accanto.
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