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Il ponte delle spie

Il ponte delle spie

Brooklyn 1957. Rudolf Abel, pittore di ritratti e di paesaggi, viene arrestato con l’accusa di essere una spia sovietica. La democrazia impone che venga processato, nonostante il regime di guerra fredda ne faccia un nemico certo e terribile. Dovrà essere un processo breve, per ribadire i principi costituzionali americani, e la scelta dell’avvocato cade su James B. Donovan, che fino a quel momento si è occupato di assicurazioni. Mentre Donovan prende sul serio la difesa di Abel, attirandosi l’incomprensione se non il disprezzo di sua moglie, del giudice e dell’opinione pubblica intera, un aereo spia americano viene abbattuto dai sovietici e il tenente Francis Gary Powers viene fatto prigioniero in Russia. Si profila la possibilità di uno scambio e la Cia incarica Donovan stesso di gestire il delicatissimo negoziato. Donovan (interpretato dal sempre perfetto Tom Hanks) è un everyman che diventa, suo malgrado un eroe, perché crede nel mestiere che fa e lo onora con grande senso di responsabilità. Non si occupa di giustizia, è un giusto. Se a lui appare incredibile che il suo assistito non si preoccupi visibilmente del suo destino, all’altro appare inizialmente inverosimile che l’avvocato non voglia sapere la verità sulla sua colpevolezza o innocenza. “Servirebbe?” No. Per lui, che ha già fatto il proprio dovere in Normandia, ogni uomo è importante, ogni vita. Donovan non vede Abel innanzitutto come una spia, un russo, un nemico: sceglie di guardarlo come una persona. Man mano che lo conosce, gli darà un colore e una profondità, forse anche quella dell’amicizia o dell’ammirazione, ma la scelta riguardo allo sguardo da adottare l’ha fatta in partenza. È un uomo che crede nella democrazia e nell’America come garante di questa, un uomo retto che agisce nel quotidiano e che vive secondo legalità, giustizia e moralità.
 

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