Lo scandalo Cambridge Analytica travolge Facebook e il suo fondatore Mark Zuckerberg
Influenzate 40 campagne elettorali
Lo scandalo Cambridge Analitica, che sta travolgendo il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, ha portato ancora una volta l'attenzione sulla ormai improcrastinabile necessità di agire per prendere coscienza del valore dei dati che tutti noi ormai rilasciamo spontaneamente e volontariamente in favore dei "social networks" e del potenziale abuso che viene fatto degli stessi sia a fini economici, che politici, con la finalità di manipolare ed influenzare la capacità di scelta di ogni singola persona. In realtà non c'è nulla di nuovo, dal momento che le tecniche e le strategie usate da questa azienda sono in atto già da molti anni e in passato se ne sono serviti i governi di parecchi paesi ma oggi emerge in tutta la sua gravità ed in modo chiaro come un soggetto economico privato sia riuscito ad entrare in possesso dei dati personali dettagliati di oltre 50 milioni di profili Facebook e ,combinandoli con le più aggiornate tecniche di "psicometria" , influenzare l'esito delle ultime elezioni USA e molto probabilmente anche quello del referendum sulla Brexit e di altre consultazioni elettorali. Dobbiamo infatti ricordare che Cambridge Analytica per sua stessa ammissione "ha partecipato a circa quaranta campagne elettorali tra Europa, Stati Uniti, Africa e Asia ed ha colto ogni opportunità sul mercato". Quanto accaduto in Cambridge Analytica, che presentava ai potenziali clienti il suo lavoro come l'idea di avere individuato una nuova scienza che avrebbe potuto cambiare il corso di una tornata elettorale influenzando le "unità di base" cioè le persone, dimostra come si sia ampiamente superato nella realtà un livello di manipolazione generale che fino ad oggi era stato solo oggetto di film e libri. Gli amministratori della società Cambridge Analytica Alexander Nix e Brad Parscale non avevano mai fatto mistero delle loro strategie e ancora nel mese di Novembre 2017 Nix aveva dichiarato in un'intervista "Noi analizziamo tutto, dai social network all'uso degli smartphone per definire l'attitudine delle persone. Nel caso delle presidenziali statunitensi siamo arrivati a raccogliere migliaia di dati per ogni elettore" e aveva aggiunto "Le indagini di marketing si basano su dati anagrafici e geografici. Quelle "psicografiche" aggiungono elementi comportamentali presi dal mondo del digitale". A queste gravissime affermazioni era seguito il silenzio totale sia negli Stati Uniti che in Europa e nessun governo si era sentito in dovere di chiedere una commissione di inchiesta per verificare quanto accaduto e per studiare tutti gli strumenti legislativi e normativi indispensabili per permettere ai cittadini di poter decidere liberamente le loro scelte sia in campo politico che economico e sociale. Oggi abbiamo finalmente compreso che la propaganda in generale, e quella politica in particolare, non ha più obbiettivi di massa ma viene ritagliata "su misura" per influenzare ogni singolo voto offrendo ad ogni elettorale, a seconda dell'area geografica in cui vive e delle specifiche problematiche di quella zona, messaggi nella bacheca Facebook che promettono la considerazione e la soluzione delle loro esigenze senza che in realtà i candidati sappiano nulla nè dei problemi da risolvere nè delle loro promesse elettorali. Il paradosso è che ognuno di noi accedendo ai "social network" autorizza l'utilizzo delle informazioni raccolte in modo volontario sottoscrivendo liberamente le autorizzazioni che vengono di volta in volta richieste e che sono generalmente vincolanti per poter accedere ai servizi offerti. Le piattaforme digitali fanno ormai parte del sistema, come evidenziato anche da Evgeny Morozov sociologo dei nuovi media e delle nuove tecnologie già nel 2011 nel suo saggio "L'ingenuità delle rete. Il lato oscuro della libertà di internet", e pensare di bloccarle o chiuderle sarebbe come ipotizzare di abolire l'uso delle infrastrutture stradali e diventa quindi necessario che i cittadini tornino in possesso di queste autostrade virtuali che oggi sono invece nelle mani di pochi soggetti privati, che naturalmente sono al tempo stesso i detentori dei più grandi patrimoni nel mondo, e che sono diventati i nuovi feudatari del mondo moderno che non fanno altro che procedere nello stesso modo in cui si è agito negli ultimi mille anni e cioè imponendo gabelle e pedaggi a chi ogni giorno deve o vuole utilizzare in qualche modo queste infrastrutture. I pedaggi che ci vengono richiesti non sono solo di carattere economico ma anche in termini di privacy in modo da poter permettere a questi soggetti di arricchirsi due volte una con quanto da noi speso direttamente o indirettamente per usufruire dei servizi ed un'altra facendo profitti vendendo i nostri dati.
La gravità di quanto accaduto, la delicatezza della questione dei dati che non è solo legale o etica ma anche economica e geopolitica e la debolezza delle risposte dei governi impongono che il nostro nuovo esecutivo si attivi subito affinchè l'Europa passi dalle attuali iniziative morbide in tema di regolamento della privacy,nuovi sistemi di tassazione per le web-company e moniti a Fcebook ad azioni energiche e tempestive con un chiaro impegno ad avviare un processo tecnico amministrativo che permetta ai cittadini di entrare in possesso di tutte le infrastrutture virtuali che dovranno poi essere gestite da un regolatore pubblico secondo principi e regole improntate alla massima trasparenza e controllo.
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