Madonna delle Grazie: restaurato il dipinto
La tela del '500 restituita alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Sampierdarena
Il 1° gennaio scorso, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Sampierdarena, è stato intronizzato il dipinto del 500’ della Madonna delle Grazie, restaurato abilmente presso lo studio Oberto da C. Campomenosi e M. Levoni, con il benestare dell’Ufficio Beni Culturali della diocesi e della Soprintendenza alle Belle Arti.
Il quadro è databile alla seconda parte del 500’. La Madonna è rappresentata a mezza figura, il mantello è dorato, abbellito da un damasco decorato che crea particolari effetti di rilievo.
Sul tessuto sono raffigurate foglie e fiori arabescate. A questo decorativismo di matrice quasi bizantina, presente spesso nelle madonne del pittore Crivelli (fine 400’), fa da contraltare lo scuro dello sfondo che rimarca la desolazione del mondo prima della nascita del Salvatore, promotore della vita nuova donataci dalla nuova Eva, sua madre Maria.
Il viso di Maria inclinato, con gli occhi bassi pensierosi ma sereni, è dolcissimo anche se leggermente malinconico e ci dà un’impressione di raccoglimento, effonde una poesia intensa. I colori sono delicati, le guance rosate, ci ricorda la “Vergine Orante” di Palazzo Cambiaso a Genova del pittore genovese Strozzi. Il ventre della Madre, è dipinto in rosa (colore che richiama nella liturgia la gioia) con una cintura scura che ne accentua la sua rotondità. Ci ricorda la fecondità che permane anche dopo il parto, infatti essa non è solo la madre del Figlio ma è anche la Madre della Chiesa.
Maria con la mano sinistra tiene teneramente il piedino del Bambino Gesù, che in braccio a lei, appare forte e robusto, l’accentuato chiaro scuro mette in evidenzia il volume del corpo. Il suo sguardo è rivolto verso di noi, vuole parlarci. Il Bimbo non ha vesti, Il suo viso appare più adulto della sua età a ricordarci la sua divinità e l’unità sostanziale delle due nature, quella umana e quella divina. Con la mano destra sollevata benedice chi lo osserva aprendo le piccole dita in forma trinitaria.
Dio uno in tre persone, è la grande rivelazione portata dal piccolo Gesù, che nella mano sinistra, posata in grembo, stringe dolcemente una piccola rondine.
Un’antichissima leggenda armena dice che la sera del Venerdì Santo tutte le rondini della Galilea e della Giudea si riunirono mestamente attorno al Santo Sepolcro e che, all’alba del giorno di Pasqua, al momento della resurrezione, partirono in ogni direzione per il mondo a portare la lieta novella.
Nella tradizione cristiana la rondine rappresenta la Resurrezione e la Passione di Cristo, per questo il suo elegante profilo compare in molte rappresentazioni sacre
Non c’è una sola cultura del Mediterraneo che non abbia, in qualche modo, amato la rondine dedicandole miti, poesie, leggende, fiabe e, come vediamo, capolavori d’arte sacra.
La rondine è protezione, la rondine è speranza.
Nell’Islam la rondine è il simbolo della buona compagnia e viene chiamata “uccello del paradiso”, i Greci la vedevano così bella e leggera che la consideravano un dono di Afrodite. Per i romani le rondini erano una manifestazioni dei Lari, le divinità protettrici della case degli uomini: infatti costruiscono il nido proprio sotto i nostri tetti e vivono molto spesso vicino a noi. Gli antichi egizi, invece, raccontavano che la dea Iside si trasformava in una splendida rondine, la notte, per piangere attorno al sarcofago del marito, il dio Osiride, annunciandone il ritorno dal regno dei morti. Inoltre essa non posa mai le zampe a terra, quindi viene considerata incontaminata.
La rondine divenne anche il simbolo della libertà poiché non sopporta la gabbia e dell’unione fraterna in quanto nel pericolo le rondini si soccorrono vicendevolmente.
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