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Catechesi nell'arte - L'arte e la speranza

La virtù teologale rappresentata dai pittori nei secoli

Catechesi nell'arte - L'arte e la speranza

Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 1817 così afferma: “La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo…”.
Papa Francesco, nell’Angelus del 15 novembre 2015, ha definito la Speranza come “la più piccola delle virtù, ma la più forte. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene con grande potenza e gloria”. Sembra quindi che essa non sia una cosa, ma una Persona. Ma come si può rappresentare visivamente questa virtù? I grandi maestri dell’arte, nelle diverse epoche e in contesti distanti fra loro, hanno spesso fatto ricorso ai medesimi simboli e alle medesime figure per avvicinarci alla comprensione delle virtù. Piero del Pollaiolo (1443-1496), rappresenta la virtù della Speranza (1470) tavola conservata agli Uffizi, in un ciclo delle Sette Virtù che vennero commissionate con un contratto datato 18 agosto 1469 al Pollaiolo dal Tribunale della Mercanzia (l'organo che soprintendeva alle corporazioni di arti e mestieri di Firenze) per decorare le spalliere degli stalli nella Sala delle Udienze della sede in piazza della Signoria.

Nella visione dell’artista le virtù sono sempre rappresentate da figure femminili, come del resto avviene nelle rappresentazioni delle virtù in Giotto e di molti altri artisti. Le virtù, tutte al femminile, sembrano quasi voler indicare una premura materna nel dono elargito da Dio. Il volto è rivolto verso l’alto speranzoso e in attesa, un invito a vincere la tentazione che vorrebbe vedere subito esaudita la nostra preghiera, un abbandono alla Provvidenza divina nella certezza che essa condurrà a realizzare il bene di chi a Dio si abbandona. Un invito a non cedere allo scoramento. Il suo sguardo sembra andare oltre il limite della morte corporale, auspicando un futuro migliore anche quando la vita terrena sarà consumata. Le mani giunte, nei codici gestuali, indicano una attitudine alla preghiera che dà senso alla speranza poiché essa è efficace quando si affida a Dio. La donna veste un abito verde, colore simbolo di abbondanza, di onore e, nei tornei cavallereschi, di speranza nella vittoria.

Già Giotto nella Cappella degli Scrovegni rappresenta la virtù della Speranza nel 1306, è una figura femminile alata, raffigurata di profilo mentre spicca il volo e leva le mani verso un angelo che le porge una corona. Si tratta di una rappresentazione diversa dall'iconografia tradizionale, che poi ebbe buon seguito (ad esempio nelle porte del battistero di Firenze di Andrea Pisano).
Nelle sentenze di Pietro Lombardo (1100-1160 ca.) “La Speranza è un’attesa certa della gloria futura prodotta dalla grazia divina e dai meriti precedenti”, per questa ragione nell’iconografia di Giotto e del Pollaiolo, la Speranza alza al cielo uno sguardo tranquillo e tende la mano verso una corona, simbolo della futura gloria che l’attende. Il simbolo dell’ancora completa la presentazione dei segni iconografici più ricorrenti nelle raffigurazioni della speranza nell’arte cristiana.

Nella Lettera agli Ebrei 6,19 San paolo afferma: “In essa infatti abbiamo come un’ancora sicura e salda per la nostra vita”. L’ancora è un simbolo ricorrente fin dall’epoca paleocristiana.
Tra le più note vi è quella conosciuta con il nome di “Croce di San Clemente”, in riferimento al martirio del Pontefice san Clemente (88-97) sotto l’imperatore Traiano (53-117) che fu gettato in mare con al collo un’ancora di ferro. Essa spesso è raffigurata come icona stilizzata della Croce, speranza della felicità eterna per coloro che credono. Il segno dell’ancora con forma a croce, venne usato soprattutto durante le persecuzioni come simbolo nascosto della croce di Cristo. Il tratto orizzontale posto sotto l’anello per fissare le gomene, suggeriva, infatti, la forma della croce. L’ancora cruciforme è una espressione tipica del cristianesimo in quanto non ha alcun riscontro con segni o simboli di altri popoli o di altre civiltà. Chi possiede saldamente questa virtù non viene scoraggiato da nulla quando intende operare per la gloria di Dio. Le contrarietà e gli ostacoli, invece di indebolire la virtù la confermano e la rafforzano avvalorando quanto scrive San Paolo, essi “sperano contro ogni speranza” (Rm. 4,18 ).

Fonte: Il Cittadino
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