Come essere segni di speranza?
Per i cristiani, il Giubileo deve essere occasione per far luce sul tanto bene che è presente nel mondo
Al prossimo Giubileo, che si aprirà il 24 dicembre, il Santo Padre affida il compito di rianimare per tutti la speranza; e ai cristiani quello di essere, con la loro testimonianza credente, lievito di genuina speranza. Lo dice espressamente all’inizio e alla fine del testo che indìce il Giubileo del 2025, lasciando intendere che l’evento giubilare non è semplicemente una questione interna alla vita della Chiesa, bensì un fatto dalla forte rilevanza missionaria e sociale.
Papa Francesco non teme di chiedere troppo: ha proposto un tema - la speranza - che sembra di fatto contraddetto ogni momento da quanto si ascolta o si legge nelle cronache, da quel che accade nella vita quotidiana, dalle prospettive future che così rosee non sembrano essere. Che motivo abbiamo di sperare? Questo Giubileo ormai alle porte, cosa può aiutarci a recuperare?
La Bolla con cui è stato indetto è ricca di spunti, e tanti sono i riferimenti sia alla Sacra Scrittura e alla Tradizione della Chiesa, sia alla realtà del mondo che ci circonda; con sapienza il Santo Padre riesce a farli dialogare.
Se è vero che in qualche modo "tutti sperano", che cioè tutti desiderano il bene, è ancor più vero che le persone che incontriamo sono spesso sfiduciate e pessimiste. La Comunità cristiana può aiutare a far luce sul "tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza" (Bolla, 7); essa è chiamata a trasformare i segni dei tempi in segni di speranza. Ecco allora il compito del cristiano: ravvivare - talvolta annunciare e far scoprire - il senso vero della speranza cristiana, che non è vago sentimento, bensì certezza che siamo stati pensati e voluti da Dio-Amore e che siamo destinati, per vocazione, alla felicità della piena comunione con Lui. Tutti.
Il Papa ci invita quindi ad essere segno concreto di speranza per tanti: ammalati, anziani, giovani, carcerati, migranti, poveri...; invita a essere operatori di pace, impegnandoci "a rimediare alle cause remote delle ingiustizie, a ripianare i debiti iniqui e insolvibili, a saziare gli affamati" (Bolla, 16); invita a essere alleati di quanti hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere "perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali" (Bolla, 9).
Le ragioni per cui sperare il cristiano non le trova in se stesso, con le sue forze; le trova nella Parola di Dio, ad essa si appoggia per restare saldo. San Paolo scrive che "il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me" (cfr. Gal 2,20). "Chi ci separerà dall’amore di Cristo? (...) Nulla "potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù" (cfr. Rm 8, 35-39).
Questa fede in Cristo Gesù, morto, sepolto, risorto e apparso ai suoi (cfr. 1Cor 15,3-5) - è il cuore della speranza cristiana; su questa certezza la speranza non vacilla, non illude né delude. L’immagine poi della speranza come un’àncora sicura e salda ricordata dal Papa, che cita la Lettera agli Ebrei (6,18-20), incoraggia ad affrontare acque agitate e tempeste, riponendo la più serena fiducia nella grazia di Dio "capace di farci vivere in Cristo superando il peccato, la paura e la morte" (Bolla, 25).
Prepararsi a vivere il Giubileo significa anche tornare a ripensare a temi importanti: la vita eterna, il giudizio di Dio, il perdono e la Riconciliazione, la comunione dei santi e la preghiera di intercessione, le indulgenze; significa riprendere consapevolezza che il cammino della vita in cui siamo pellegrini, ha una meta precisa che si chiama Signore Gesù: "La storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria. Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere sempre in Lui: è con questo spirito che facciamo nostra la commossa invocazione dei primi cristiani, con la quale termina la Sacra Scrittura: «Vieni, Signore Gesù!»" (Bolla, 19).
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