Shabaz Bhatti, vita e martirio di un cristiano in Pakistan
Pubblicato "a caldo", ad appena un anno dalla morte del protagonista, "Shabaz Bhatti, vita e martirio di un cristiano in Pakistan" non è un instant book, uno di quei libri prodotti sull'onda della cronaca con puri intenti commerciali, che poi perde di interesse non appena si spengono i ricordi dell'evento a cui si riferiscono.
Pubblicato "a caldo", ad appena un anno dalla morte del protagonista, "Shabaz Bhatti, vita e martirio di un cristiano in Pakistan" non è un instant book, uno di quei libri prodotti sull'onda della cronaca con puri intenti commerciali, che poi perde di interesse non appena si spengono i ricordi dell'evento a cui si riferiscono.
Al contrario, questa è una biografia documentata, leggibilissima, che racconta la vita e i sentimenti di un uomo dalla vita interessante ed avventurosa, capace di seguire una visione di futuro in un mondo schiacciato sul presente.
Nasce dai ricordi di Roberto Pietrolucci, membro della Comunità di Sant'Egidio e amico personale del ministro pakistano per le minoranze, che fu l'ultimo a parlare con lui prima dell'attentato in cui perse la vita, e dalla penna di Roberto Zuccolini, giornalista di punta del Corriere della Sera. Ed è un libro che inizia dalla fine, perché Bhatti ha avuto la sua - tristissima - notorietà in Occidente solo con la sua morte: l'uccisione, il 2 marzo dell'anno scorso, a 42 anni, mentre attraversava, senza scorta, il centro di Islamabad.
Dalla fine, il martirio per aver creduto nel sogno della possibilità di vivere insieme cristiani e musulmani, il libro torna indietro raccontando le vicende personali del giovane Shabaz intrecciate con la storia complessa del Pakistan: la fondazione, a soli 17 anni, del Christian Liberation Front e, nel 2002, dell'All Pakistan Minorities Alliance, fino al grande aiuto portato anche ai musulmani durante il terremoto del 2005, nella convinzione che "i poveri e gli orfani vadano considerati innanzitutto come esseri umani, come creature di Dio: dobbiamo amarli e porgere loro il nostro aiuto". Fu in quell'occasione che Bhatti scrisse una pagina molto chiara sul dialogo interreligioso che nasce dalla solidarietà: "credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto - erano state le sue parole - abbiano costruito ponti di solidarietà e di amore. Se tali sforzi continueranno, sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti".
Nel 2008, la svolta politica per Bhatti, con l'elezione in parlamento e la nomina a ministro per le Minoranze, primo cristiano a ricoprire una carica tanto importante nel secondo paese più popoloso al mondo tra quelli musulmani: tra le sue tante battaglie, quella, molto nota in Occidente, contro la legge sulla blasfemia. Una rassegna di dati biografici, però, non è sufficiente a rendere l'aderenza con cui Pietrolucci e Zuccolini rendono la sostanza umana di Bhatti, la sua fede radicata e concreta, il suo amore per la Chiesa cattolica, la sua dedizione alla causa del dialogo e della solidarietà.
"Questo libro - scrive nella prefazione Andrea Riccardi, ministro italiano per la Cooperazione e l'Integrazione - è la storia di un uomo che ha lottato a mani nude ed è morto martire". Ma il suo martirio non parla di odio, di contrapposizione, di un "noi" contro un "loro". Al contrario, Bhatti coltivava amicizia con i musulmani e la sua fede profonda non era mai contrapposta. Il suo sogno non era quello di spazi di libertà isolati, ma di un Pakistan - paese che egli amava - in cui fosse possibile che cristiani e musulmani vivessero insieme in pace.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento