II lettura di domenica 21 febbraio - Quest'acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi
I Domenica di Quaresima (Anno B)
Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l'annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Quest'acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
A vendo esortato i credenti a fronteggiare la persecuzione con coraggio e pazienza, l’agiografo cita a modello Cristo, il quale ha sofferto ed è morto, a causa dei peccati degli “ingiusti” pur essendo “giusto”. Egli pertanto è icona di coloro i quali vengono, ingiustamente, oppressi.
Il pensiero, però, si sviluppa e si completa nella dimensione cristologica: Cristo ha sofferto “una volta per sempre”, perché la sua sofferenza redentiva ha efficacia perfetta, infinita e quindi non ha da essere ripetuta. Mentre i credenti che sono sottoposti a persecuzione non sono totalmente “giusti”, Cristo invece è “giusto”, assolutamente immerite¬vole di sofferenza riparatrice.
Peraltro, come Cristo ha sofferto ed è morto a be-neficio dei peccatori, altrettanto possono fare i credenti: posso-no offrire il merito delle loro tribolazioni a beneficio della conversione dei persecutori.
In tale condizione – “in spirito”, cioè con la vitalità spirituale di redentore e di risorto da morte – Cristo “andò ad annunciare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione”: ha portato l’efficacia della redenzione a coloro che – ovviamente, pentiti per il male compiuto – si trovavano nel regno dei morti, lo “Sheol” della concezione ebraica, l'Ade dei greci, concepito, appunto, come una prigione.
Il testo dice “anche”, riferito a quegli spiriti, supponendo, evidentemente, una azione più ampia di Cristo.
Tuttavia nel brano, direttamente, si fa riferimento soltanto ai peccatori del tempo di Noè, alcuni dei quali – è sottinteso – si sono pentiti prima di perire nel diluvio e quindi sono rimasti in attesa della redenzione che avrebbe attuata Cristo. È ciò che il Simbolo Apostolico e la teologia denominano “discesa agli inferi” del Risorto.
Con una digressione, suggerita dalla vicenda del diluvio, lo scrittore sacro osserva che allora furono salvate “poche persone, otto in tutto” (Noè, la moglie, i tre figli e le rispettive mogli) “per mezzo dell'acqua”, cioè attraverso l'acqua e sopra l'acqua. E presenta il diluvio come tipo, come prefigurazione del Battesimo, mediante la cui acqua vengono salvate non “poche persone”, ma molte.
Però, mentre il diluvio ha ripulito la terra, il Battesimo “non rimuove la sporcizia del corpo”, non è un semplice rito formale, ma invoca ed effettivamente realizza la salvezza, grazie all’opera divinamente efficace di Cristo, “in virtù della risurrezione”. Non dunque un lavacro esteriore soltanto, ma una purificazione interiore.
Ciò è garantito dalla posizione di divina potenza di Cristo, “il quale è alla destra di Dio” (tale il significato della espressione tipica¬mente semitica;cfr. Sl 110,1; At 2,32-35). Potenza, universale signoria, già attestata dalla sua ascensione e dal passaggio attraverso il dominio delle potenze spirituali – “angeli, principati e potenze” – le quali, secondo l’antica concezione cosmografico-teologica stavano tra il genere umano e la divinità.
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