II lettura di domenica 2 agosto - Nessuna creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo
XVIII domenica tempo ordinario (Anno A)
Fratelli, chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Paolo avverte i cristiani che la “giustificazione” gratuita da parte di Dio, la salvezza, non preserva dalle difficoltà e dalle sofferenze. L’Apostolo stesso ne ha “ricca” esperienza: “travagli, prigionie, battiture, frequenti pericoli di morte; cinque volte flagellato dai Giudei, tre volte abbuio con verghe, una volta lapidato, tre volte naufrago; pericoli di fiumi, dai briganti, dai connazionali e dai pagani; pericoli nelle città, nel deserto e in mare; pericoli da falsi fratelli, travagli, fatiche, lunghe veglie, fame, sete, digiuni, freddo, penuria di abiti; ed oltre a ciò il quotidiano ricorso dei fedeli e la sollecitudine per tutte le chiese; la condivisione delle debolezze e la sofferenza per gli scandali” (2a Cor 11, 23 ss). Paolo conosce ciò di cui parla.
Le avversità e le minacce – “la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, al nudità, il pericolo, la spada” – sono sempre incombenti, non solo materialmente, ma anche spiritualmente, in particolare quelle causate dalle persecuzioni per la fede cristiana.
Nulla può “separare dall’amore di Cristo”. Paolo con i suoi interrogativi retorici, sembra faccia eco all’antica convinzione del Salmista: “Il Signore è mia salvezza, di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò terrore” (Sl 26, 1).
I cristiani, non soltanto, non devono aver paura che le tribolazioni li separino dall’amore di Cristo, ma debbono avere certezza che non soccomberanno, ma, anzi saranno “vincitori”, grazie alla forza soprannaturale – “per virtù” –donata da Cristo, “colui che ci ha amati”, offrendo vita, passione, morte e risurrezione. Ribadendo il pensiero, Paolo prende in considerazione le forze umane e cosmiche, reali o ipotetiche (in riferimento ad una certa mentalità dell’epoca, sulla cui reale consistenza, tuttavia non si pronuncia) che potrebbero avere influsso sulla fragilità umana: “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze. Né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio”. Neppure di fronte a questa molteplice ed eventuale sfida il cristiano deve aver paura, perché saldo “in Cristo Gesù”, cioè partecipe della sua forza, dal Battesimo in poi. Sotto il peso delle “croci”, non solo non si allontanerà da Cristo, ma anzi si avvicinerà maggiormente a lui, assimilandosi a lui, il quale per amore ha portato il peso della croce.
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