La parola
stampa

IV Domenica di Pasqua (Anno C), (Gv 10, 27 - 30)

Alle mie pecore io do la vita eterna

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Cristo, superando il particolarismo ebraico, conferisce alla Chiesa destinazione universale. Tutti i popoli, di tutti i tempi sono oggetto di attenzione da parte di Cristo, il quale pertanto conferisce agli Apostoli mandato missionario universale (Mc 13,9; Gv 3,14; Gv 4,21; Mc 16,16; Mt 24,14; Mt 28,19 ecc.). Gesù prevede e preannuncia pure il rifiuto opposto al Vangelo, se non proprio da tutti, almeno da una parte consistente dei primi destinatari (Mt 8,10).
Gli Apostoli in rispondenza all'imperativo di Cristo si fanno missionari ovunque, cominciando tuttavia da coloro che, fruenti della Parola di Dio dell’Antico Testamento, si trovano più preparati al messaggio cristiano. Per Paolo e Barnaba l'occasione di constatare il rifiuto da parte degli ebrei si verifica ad Antiochia di Pisidia, ove – conseguentemente – intraprendono l'evangelizzazione dei non ebrei. La Chiesa dell’eternità pertanto sarà costituita da tutti coloro che – provenienti da qualsiasi razza – hanno creduto in Cristo, affidandosi alla sua guida.
Cristo infatti è il Pastore universale, che ha cura amorosa per il suo gregge.
Al limite della spianata del Tempio, sotto il portico di Salomone, Gesù, rifacendosi elegantemente alla Sacra Scrittura, si presenta come “il Pastore”, attribuendosi pertanto prerogative divine, giacché nell'Antico Testamento “il Pastore di Israele” è Jahvè.
Ed esprime tre idee circa i suoi rapporti con le pecorelle: la reciproca conoscenza ed intimità familiare, la dipendenza fiduciosa delle pecore da lui (lo “seguono”, certe che i pascoli che egli procura loro sono certamente i più adatti, i migliori) e la sicurezza delle pecore, le quali ricevono non solo protezione contro ogni minaccia, ma persino la vita, “la vita eterna”, la vita stessa del Pastore che è vita divina, giacché Lui e il Padre sono “una cosa sola”.
Un gregge universale con un unico Pastore – Cristo – ed un unico Ovile – la Chiesa – in cui chi, per mandato di Cristo stesso, funge da “pastore”, ha la responsabilità di confrontarsi sempre con la Sua volontà e non con altre considerazioni. Nessun’altra.

Alle mie pecore io do la vita eterna
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento