Una carità che non sia solo elemosina
La "Fratelli tutti" deve stimolare ad una riflessione sugli interventi da attuare verso le nuove povertà
C’è un passaggio della enciclica “Fratelli tutti” che vorrei mettere in relazione ai dati presentati dal “Rapporto 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia” diffuso qualche giorno fa da Caritas Italiana (“Gli anticorpi della solidarietà”). In estrema sintesi, il rapporto mette in evidenza come da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” sia passata dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9% dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa; sono dati che trovano riscontro anche dalle nostre parti.
Viviamo in una condizione di emergenza ma a ben vedere si tratta di un peggioramento crescente di una emergenza che tra alti e bassi è un fatto permanente. Chiamiamola pure normalità. Per molti normalità è star bene, farsi i fatti propri, vivere nel consumo e nello spreco con una indifferenza pressoché totale verso quello che succede nel mondo. Per molti, moltissimi (e tanti di questi “invisibili”) la normalità è uno stato di disagio, di fragilità, di miseria. Superfluo ripetere dati e questioni. Dobbiamo porci la domanda: e noi da che parte stiamo?
Siamo Chiesa! E la Chiesa non relega la propria missione all’ambito del privato. Al contrario, “non può e non deve neanche restare ai margini nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di risvegliare le forze spirituali che possano fecondare tutta la vita sociale”.
Il mondo è coperto da ombre di iniquità. Credo sia passato il tempo delle buone azioni. Certamente, come spesso sollecitato anche da Francesco, sono determinanti anche i piccoli gesti ma oggi occorre un salto di piano e le buone azioni (coordinate o meno) devono raggiungere i livelli della “carità politica”, della consapevolezza che soprattutto noi credenti abbiamo un ruolo, il dovere di impegno e testimonianza che non si può più limitare a curare l’immediato, il presente ma deve contribuire a costruire quei percorsi culturali che possono imprimere una svolta nella vita sociale.
Non possiamo continuare a consegnare pacchi alimentari, a sostenere affitti e utenze. C’è bisogno di interventi caritativi che non devono avere l’odore dell’elemosina, del buonismo, della temporaneità ma che mettano le persone in condizione di autonomia e autosufficienza in nome di quella dignità che non ci appartiene se non la condividiamo.
Carità politica presuppone di aver maturato un senso sociale che supera ogni mentalità individualistica: “La carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce. Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo e, al tempo stesso, non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona”. O ci diamo una mossa nel mettere in pratica quanto ci viene indicato o riduciamo il nostro appartenere alla chiesa ad un esercizio religioso. È nostro dovere incidere sulle decisioni politiche troppo spesso lasciate a sé stesse senza un progetto comprensivo di un tutto che guardi al bene comune.
Il momento presente rende tutto molto più difficile. La via dei percorsi di incontro indicata da Papa Francesco nella “Fratelli tutti” è in salita ma non è impossibile. Come è possibile favorire l’aumento di anticorpi di solidarietà nel sovvenire l’immediato è altrettanto possibile compiere i passi di una riflessione e della ricerca di prospettive sfruttando almeno gli strumenti che la tecnica ci offre. Per vivere come favorevole il tempo della pandemia ci si può mettere in rete (in piccoli gruppi, molti già lo fanno) per riflettere sull’enciclica “Fratelli tutti” e fare discernimento su come si possono tracciare quei percorsi di incontro che, alla prima schiarita, dovranno rianimare il tessuto comunitario e sociale.
Si può prevedere un tempo (alla fine della celebrazione domenicale che per ora resta una possibilità di incontro) per leggere qualche brano dell’enciclica e condividere riflessioni utili per i gesti quotidiani.
Uno strumento a disposizione di tutti è anche costituito dalle “Pillole” preparate dal Tavolo Giustizia e Solidarietà Genova: si tratta di brevi video sul canale YouTube del Tavolo che offrono testimonianze ed esperienze concrete per aiutarci a condividere il cammino della “Laudato si’” e dell’Agenda 2030.
*Direttore Fondazione Auxilium
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