Chiesa e mondo
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Anche Genova all'incontro "Mediterraneo, frontiera di pace" promosso dalla CEI

Un'occasione per riflettere sulla sua vocazione di "porta del Mediterranneo" e approdo storico di profughi e migranti

Anche Genova all'incontro "Mediterraneo, frontiera di pace" promosso dalla CEI

Si svolge dal 19 al 23 febbraio l’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” - promosso dalla CEI - che porterà a Bari i vescovi di diciannove Paesi affacciati sul grande Mare.
Come ha spiegato il Card. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, “non è più possibile sostenere che i conflitti in Libia o in Siria non ci riguardano. Si tratta di un errore clamoroso e dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche. Il Mediterraneo rappresenta la culla di una civiltà in cui il cristianesimo è senza dubbio tra i soci fondatori. Per questo motivo, come Chiese del Mediterraneo abbiamo il dovere morale di impegnarci per promuovere luoghi di incontro e di pace facendoci promotori del dialogo religioso e culturale”.
I vescovi si confronteranno per indicare percorsi concreti di riconciliazione e fraternità fra i popoli in un'area segnata da guerre, persecuzioni, emigrazioni, sperequazioni. Al centro ci sarà il fenomeno delle migrazioni ma è evidente che saranno affrontate tutte le questioni legate alle frontiere (barriere) che separano mondi sempre più distanti e non comunicanti: ricchezza e miseria, esclusione ed inclusione, produttori e scarti, spreco e consumo.
Tutte realtà connesse ma che separano coloro che sono dalla parte “giusta” (ovvero dalla parte di chi ha) da coloro che, involontariamente, sono vittime di un sistema sociale errato e di una mentalità dominante, assecondante ed insensibile.
O meglio: non dignitosamente responsabile!
Già perché come cittadini del mondo, tutti abbiamo diritti e doveri e tutti siamo chiamati ad un “di più” di responsabilità e umanità e non a nascondere i drammi del nostro tempo dietro ai vuoti ed inconcludenti rituali ostentati da chi domina (perché di dominio si tratta e non di accidentalità) con interessi di parte, di potere, di denaro.
Bene che la Chiesa si faccia ancora una volta promotrice di dialogo, di confronto, di discernimento. Ottimo se anche a Genova cogliessimo lo spirito di questo evento per misurarci con le molte realtà locali di ingiustizia e sofferenza che altro non sono che lo specchio o il riflesso dei tanti drammi che affliggono il mondo. Certo, molti dei drammi del mondo si consumano lontano da noi; passano velocemente sui nostri schermi, giornali, social e sono immediatamente rimossi per il sopravvento di pubblicità e di notizie più attraenti di cronaca o curiosità. Da noi niente guerre, niente torture niente persecuzioni, niente scheletri nel deserto e morti in mare… Se ne parla ma non si vedono. Si rischia sempre di più l’atteggiamento già evidenziato da Papa Francesco nella Laudato si’: “Cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità. Come spesso accade in epoche di profonde crisi, che richiedono decisioni coraggiose, siamo tentati di pensare che quanto sta succedendo non è certo. Se guardiamo in modo superficiale, sembra che le cose non siano tanto gravi e questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo” (59).
Genova, che è presente a Bari con il Cardinale Angelo Bagnasco, non può rinunciare ad essere un popolo del Mediterraneo che si prende cura. Non si parte certo da zero. Anzi! Basta guardare al molto, anche se silenzioso e sommerso, che si opera ogni giorno per sovvenire le tante persone che sono schiacciate dalle multiformi condizioni di fragilità.
Ma per non continuare, con sempre più fatica, a operare con e per gli ultimi raschiando il barattolo delle risorse umane e di quelle economiche sempre più esigue, occorre rigenerare un tessuto di interesse appassionato alla cura della casa comune nella quale tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri. Occorre andare all’origine, alle cause dei mali. Non accontentarsi o rassegnarsi di quel che si sta facendo. Non è sufficiente perché non solo risolve parzialmente, ma perché non incide sul cambiamento diffuso e necessario che è giusto promuovere anche tra le persone più “distratte”.
C’è necessità di ricreare uno spazio popolare, aperto, dove si possa condividere, crescere ed educarsi a crescere come “insieme di persone che non camminano come individui ma come il tessuto di una comunità di tutti e per tutti, che non può permettere che i più poveri e i più deboli rimangano indietro” (Papa Francesco, Christus vivit, 230-232).
Superare l’immediato e l’emergenza, che pur resta azione primaria, per coinvolgere e attivare processi di contagio. Essere virali come i fiumi di banalità che inondano attraverso i social, a volte anche simpatici ma vuoti e superflui. Come Fondazione Auxilium, abbiamo nei giorni passati condiviso incontri che si sono rivelati promotori di interesse e di coinvolgimento. Il convegno sulla tratta di esseri umani, la proiezione del film “Senza radici” di Teo De Luigi, l’avvio del Corso di Cittadinanza in collaborazione con l’Università di Genova, il nuovo anno di Servizio Civile Universale presso l’Area Giovani della Caritas Diocesana, il convegno per il centenario di Chiara Lubich. Sono solo alcuni dei segni che testimoniano una vitalità e una vivacità popolare che possono fare di Genova una città aperta sul Mediterraneo. Una città “presente”, che facendosi porto accogliente può diventare porta di umanità, di fraternità, capace di portare speranza anche a quei popoli e in quelle terre in cui la speranza è negata.
*Direttore Auxilium

Fonte: Il Cittadino
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