Fine vita: la libertà non va confusa con un’autodeterminazione assoluta
Nel libro "Piccolo lessico del fine-vita" un approfondimento su fine vita e questioni ad essa collegate
La Pontifica Accademia per la Vita ha pubblicato nel giugno scorso presso l’Editrice Vaticana un agile testo intitolato Piccolo lessico del fine-vita. Nell’introduzione mons. Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia, spiega che con questo lavoro si è voluto prendere in considerazione 22 questioni sul fine vita, argomento costantemente dibattuto da porzioni sempre più ampie della società. Le intenzioni che hanno orientato la stesura del volume sono molteplici. Si vuole prioritariamente favorire un confronto sereno tra i diversi linguaggi morali per cui si rinuncia a nominare le categorie di sacralità e indisponibilità della vita che risulterebbero divisive. Si puntualizza che la nozione di libertà non va confusa con un’autodeterminazione assoluta. Ci si propone altresì di fornire una terminologica adeguata a definire con chiarezza le situazioni in cui i pazienti si vengono a trovare e si mira a ridefinire il rapporto tra etica e diritto.
Il primo concetto preso in esame è quello dell’ineludibile esigenza di accompagnare in scienza e coscienza il malato in ogni fase della malattia. Grande importanza viene data alla palliazione che non abbandona il paziente, anche quando non ci sono possibilità di recupero e garantisce un approccio di cura globale. Si ricorda anche che l’idratazione, l’alimentazione e la ventilazione artificiali sono tradizionalmente indicati come “trattamenti di sostegno vitale”. Sulla possibilità della loro interruzione si è molto discusso. La posizione della Chiesa è stata più volte espressa. Pio XII e recentemente Papa Francesco, hanno asserito senza ombra di dubbio che non sussiste «l’obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili» e che si possono lecitamente interrompere quelli che non raggiungono più la loro finalità propria. Oggi però il novero dei trattamenti di sostegno vitale, grazie agli sviluppi tecnoscientifici, si è notevolmente ampliato. Sarebbe auspicabile giungere al più presto a precisare, secondo una rigorosa accezione medico-sanitaria, i limiti di questi interventi senza ricorrere a vie legali al primo verificarsi di contenziosi.
Nonostante alcuni palesi limiti, si riconosce anche l’utilità di redigere le disposizioni anticipate di trattamento, adatte a rendere edotti delle proprie preferenze qualora non si sia più in grado di interloquire con il personale sanitario. A questo scopo, in appendice, si propone il modulo compilato da un gruppo di studio organizzato dalla rivista Aggiornamenti sociali. Attenzione viene anche data alla medicina intensiva che ha un indiscusso valore, ma che allo stesso tempo deve essere applicata solo fino a quando risulta essere proporzionata alle effettive situazioni cliniche del paziente e non in contrasto con le eventuali disposizioni anticipate precedentemente sottoscritte.
In aggiunta si annota che troppo spesso si citano in modo improprio, quasi fossero sinonimi, il coma, lo stato vegetativo e la minima coscienza, condizioni nettamente diversificate dal punto di vista medico. Per quanto riguarda l’accertamento della morte si riafferma la validità del criterio neurologico (cessazione totale e irreversibile di ogni attività encefalica), validato dalla scienza e antropologicamente riconosciuto idoneo per designare la «totale dis-integrazione di quel complesso unitario ed integrato che la persona in se stessa è».
Sono negativamente valutati il ricorso all’eutanasia e al suicidio assistito, mentre la sedazione palliativa profonda è ritenuta adatta, qualora permangano nella fase terminale sintomatologie dolorose non controllabili diversamente. Si riconosce la convenienza di sottrarsi ad ogni forma di ostinazione irragionevole, ovvero all’accanimento terapeutico, arrivando a sospendere i trattamenti atti unicamente a procurare «un prolungamento precario e penoso della vita». A più riprese si sostiene l’importanza della pianificazione condivisa delle cure in presenza di «patologie degenerative inguaribili o caratterizzate da un’inarrestabile evoluzione con prognosi infausta». Questa pratica ha il grande vantaggio di favorire la relazione tra il medico e il paziente affinché possano concordare le decisioni da assumere nelle diverse tappe dell’evoluzione della patologia. Si specifica ulteriormente che la donazione di organi è un atto di autentica solidarietà e altruismo.
Chi già conosce i pronunciamenti della bioetica cattolica potrà rilevare che questo libretto si mantiene sulla scia della più consolidata tradizione ecclesiale e apprezzerà la determinazione della Pontificia Accademia per la Vita di sistematizzare in modo organico e sintetico le diverse deliberazioni enunciate nel tempo a proposito del fine vita. Potrà invece stupirsi chi, non sufficientemente informato, si è creato precomprensioni indebite in materia. Lo scopo dichiarato fin dall’introduzione è proprio quello di «aiutare chi cerca di districarsi nella giungla di queste tematiche intricate», ma anche esplicitare il pensiero ecclesiale in materia per evitare che si continui ad attribuire ingiustamente ai credenti affermazioni che sono invece «frutto di luoghi comuni non adeguatamente scrutinati».
* Facoltà Teologica di Torino
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