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Detenuti, la vicinanza della Chiesa genovese

Quest'estate Padre Marco Tasca ha incontrato i detenuti nel carcere di Marassi

È un caldo pomeriggio di fine estate quello in cui l’Arcivescovo di Genova, padre Marco Tasca, varca i cancelli del carcere di Marassi per incontrare i detenuti di quella che lui stesso definisce “un pezzo della mia chiesa, della nostra chiesa genovese”. Il tempo e le dimensioni dell’istituto penitenziario non consentono di incontrare tutte le settecento persone che vi si trovano recluse, e pertanto è necessaria una scelta. Si inizia quindi dal centro clinico, dove sono ricoverate una cinquantina di persone. È una sezione particolare, in cui ai tratti severi del penitenziario si mescolano quelli della cura ospedaliera: nutrita è la presenza di medici ed infermieri, che quotidianamente si prendono cura di persone affette vuoi da tumori, cardiopatie, problemi motori, vuoi da malattie infettive o ancora da patologie psichiatriche. Alla sofferenza dell’incarcerazione e della separazione dai propri cari si somma il dolore causato dalla malattia.

Padre Marco – così si presenta ai detenuti il nostro vescovo – entra nelle celle, si ferma a parlare con chi non si alza dal proprio letto o si muove solo in carrozzina, ascolta tutti. Come Garante regionale lo accompagno e ascolto i loro dialoghi, ma mi allontano se prendono una piega strettamente personale. Molti si affidano alle sue preghiere, c’è chi gli parla della sua storia personale, chi di come il carcere lo abbia portato ad un cambiamento e ad una riflessione su ciò che conta nella vita. Il cappellano don Paolo Gatti, che pure accompagna il vescovo nella visita, è testimone degli itinerari di fede di molti dei detenuti incontrati. Qualcuno chiede alla chiesa genovese di farsi voce delle speranze di chi si trova in carcere e di entrare nel dibattito pubblico, anche richiedendo misure di clemenza. Riecheggiano nelle loro parole gli appelli del Papa ad un “gesto di clemenza” per le persone detenute e private della libertà. Il vescovo li rassicura: la Chiesa non solo li ascolta ma è anche attiva per migliorare la condizione carceraria e per contribuire al reinserimento sociale dei detenuti. La presenza alla visita di alcune associazioni di volontariato, dalla Veneranda Compagnia di Misericordia alla Comunità di Sant’Egidio, ne è la conferma.

La visita si conclude con un incontro del vescovo con una rappresentanza di detenuti. La discussione si protrae a lungo, ed i presenti hanno modo di illustrare al vescovo le difficoltà della vita in carcere. Uno tra i presenti dice: “non chiediamo clemenza ma lungimiranza: occorre una programmazione, perché chi entra in carcere abbia un’opportunità per cambiare vita”, e si delinea così un percorso ideale, dall’accoglienza ai primi colloqui con gli operatori penitenziari, fino alla frequentazione di corsi scolastici e di formazione professionale, per giungere ad un’opportunità lavorativa. Ma quanti ostacoli in questo percorso! Chi è in carcere ha sbagliato, è vero, ma come ricucire la lacerazione che si è creata? Gli operatori penitenziari devono ricostruire un clima di fiducia nei confronti del detenuto, che oggi è carcerato ma che domani uscirà, ed occorre che questo avvenga già durante la carcerazione.

Il vescovo ascolta con attenzione le parole dette, ma ancor di più quelle non dette. L’incontro con la realtà del carcere è fatto anche di silenzio, pudore e sguardi. “È normale che io sia qui – ha detto in conclusione Padre Tasca - il carcere non è una realtà separata, voi siete parte del gregge di cui mi devo prendere cura. E nella preghiera mi ricorderò di voi e delle vostre richieste”.

Sono lieto di aver promosso, come garante, questo incontro, perché si tratta di un segno di speranza: sapere di poter essere ascoltati, potersi esprime e raccontare, avere l’occasione di una riflessione comune e di uno scambio con il vescovo hanno un grosso significato per chi ogni giorno vive nel chiuso di quelle mura. E confido nel fatto che il vescovo saprà farsi voce, nella Chiesa e nella città, delle persone incontrate in carcere.

* Garante regionale dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale

Fonte: Il Cittadino
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