Truman
Tomas e Julian sono amici da sempre, anche se è da tempo che non si vedono. Julian è rimasto a Madrid a fare l’attore con discreto successo, Tomas, invece, vive in Canada, dove lavora come ingegnere e ha una moglie e dei figli. Il primo è divorziato, con un figlio già grande che studia ad Amsterdam, donnaiolo impenitente, esuberante e pieno di amici ma in fondo molto solo, il cui unico vero affetto è rappresentato dal cane Truman. Il secondo è un uomo posato, regolare, tranquillo, circondato dall’amore familiare. Nonostante siano così diversi, o forse proprio grazie a questo, i due si sono sempre capiti e “completati”. Ora Tomas deve tornare a Madrid a trovare l’amico, ma il viaggio non è di piacere: Julian è malato da tempo di tumore e le cure non stanno funzionando, Tomas deve andare a trovarlo perché, forse, sarà la sua ultima occasione per vederlo. Passeranno quattro giorni insieme, cercando di dirsi addio.
“Truman” del regista spagnolo Cesc Gay racconta una bella storia di amicizia al maschile e ci mostra quanto sia difficile affrontare la malattia e la morte, sia per il malato sia per chi gli sta accanto e gli vuole bene. Riflette sul nostro rapporto con la vita e la morte, sulla nostra incapacità a elaborare i lutti, sul valore degli affetti e sull’importanza di esprimerli. Perché uno dei nodi centrali del film è la difficoltà da parte dei due protagonisti a manifestare il loro affetto, perché, come ha spiegato anche il regista, gli uomini rispetto alle donne hanno un problema in più a mostrare questa loro parte e a farsi vedere più fragili e indifesi. La pellicola ha avuto un grande successo in Spagna sia a livello di pubblico che a livello di critica (ha vinto svariati Goya, gli Oscar del cinema spagnolo) e la fortuna che l’ha accompagnata è certamente legata alla semplicità e insieme alla forza con cui la storia viene raccontata. Non si tratta di un melodramma strappalacrime (come la trama potrebbe far pensare, e c’era il rischio che lo diventasse), anzi ogni emozione è solo accennata, trattenuta, spesso temperata da una battuta. Così il film acquista una leggerezza che non è superficialità ma è, come direbbe Italo Calvino, un “planare dall’alto” e quindi un abbracciare tutto il problema e comprenderlo appieno.
La regia è sobria ed equilibrata e lavora soprattutto sull’alchimia fra gli attori, che sono assolutamente fenomenali. Sono loro a reggere il “peso” del film e a dargli quello spessore che serve per renderlo vivo, vero e appassionate. Non era facile, come abbiamo già accennato, il rischio era quello di dare vita a una pellicola dove il dolore è finto, patetico, troppo “urlato”. Qui invece tutto è misurato ma non per questo non emozionante. Con dignità e pudore entriamo nel rapporto di amicizia fra questi due personaggi, ne scopriamo lentamente le pieghe dell’animo, ci inteneriamo per le insicurezze e le fragilità, ci affezioniamo ai loro destini. Possiamo ritrovare sentimenti che proviamo ogni giorno e paure (la malattia, la morte) che cerchiamo di allontanare e non affrontare. E nel finale, quando i due amici si salutano e Julian affida a Tomas l’amato cane Truman come suo lascito spirituale, non possiamo non commuoverci, come se fosse qualcosa che stiamo vivendo noi stessi.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento