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Segreti di famiglia

Segreti di famiglia

Ci sono attori che ai ruoli semplici e tutti d’un pezzo preferiscono ruoli difficili, complessi e al limite dello sgradevole. Amano mettersi nei panni di personaggi ambigui, sfuggenti, faticosamente inquadrabili, dalla moralità dubbia e quindi anche antipatici, ardui da comprendere e con cui empatizzare. Fra questi tipi di attori troviamo senz’altro Isabelle Huppert, grandissima interprete francese. Proprio per questo, Huppert ha accettato di recitare anche in “Segreti di famiglia”, primo film diretto in lingua inglese dal norvegese Joachim Trier, la storia di una fotografa di guerra e della sua famiglia, l’ennesimo ritratto di una donna sfuggente e incomprensibile.
Un padre e due figli, il maggiore Jonah, che sembrerebbe il più realizzato (buon lavoro, moglie e figlia appena nata) e l’adolescente Conrad (problematico, silenzioso, chiuso in se stesso, ma che trova nella scrittura una grande valvola di sfogo), sono costretti a fare i conti con la morte per incidente stradale della madre, Isabelle Reed, apprezzata fotografa di guerra. Il lutto riverbera in modo diverso in ognuno di loro. Le circostanze della morte di Isabelle condizionano i sentimenti e i pensieri dei tre uomini, così come le scelte da lei fatte in vita hanno condizionato fino all’ultimo l’esistenza e i legami della famiglia. Isabelle era una moglie e una madre assente, imperscrutabile nei suoi sentimenti, divisa fra lavoro e famiglia, mai veramente felice e realizzata. Un enigma per gli altri e per se stessa.“Segreti di famiglia” è un melodramma che mira al cervello più che al cuore. Sono proprio i vuoti, e i silenzi, a essere “louder than bombs”, come dice il titolo originale, “più rumorosi delle bombe”. I pezzi dovranno andare a posto, i vuoti colmati, ma Trier lo fa con modalità narrative in sottrazione che guardano più alla tradizione scandinava che al cinema statunitense. Huppert è come sempre fantastica nel delineare i tormenti di una donna che non sa scegliere fra il focolare domestico e l’avventura dei fotoreportage, che si sente sempre fuori posto, un’estranea. Una donna che si pone domande sul suo lavoro (sulla liceità o meno di fare certe foto in tempo di guerra e su come farle) e sul suo ruolo di madre, moglie e donna. Un personaggio sfaccettato, pieno di contraddizioni, a volte rude e dunque antipatico, ma che, certamente, permette a Huppert, ancora una volta, di regalarci non un semplice “personaggio” bidimensionale ma una vera e proprio “persona” nella sua tridimensionalità.

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