Aspettando il re
Alan Clay è un uomo d’affari americano in crisi professionale e personale, che per rimettersi in pista vola in Arabia Saudita nel tentativo di concludere con il re la vendita di un innovativo sistema di videoconferenze con ologrammi. Inizialmente disorientato dalle usanze locali ed estenuato dall’attesa del monarca, che tarda a riceverlo, Alan cerca di portare avanti il suo progetto con l’aiuto di un bizzarro tassista e di una paziente dottoressa. Mano a mano che l’amicizia fra i tre si rafforza, le barriere culturali crollano, congiungendo tradizione e modernità in modo misterioso e affascinante…
Tratto dal romanzo Ologramma per il re di Dave Eggers, Aspettando il re è un film che semplifica certamente la complessità tematica che reca in sé (la crisi economica globale, il confronto/scontro tra le culture, il disagio individuale contemporaneo), ma non arriva a banalizzare, come in molti altri lungometraggi, simili e delicati argomenti, consentendo allo spettatore di non smarrirsi tra panorami suggestivi e dialoghi vivaci. Lasciandogli, sui titoli di coda, sensazioni marcate e retrogusti amarognoli.
A fare da solido punto di contatto tra le non poche vie di fuga dell’opera di Tom Tykwer è l’interpretazione di Tom Hanks nei panni del protagonista: rappresentazione in immagini sempre più efficace dell’ordinary man, alle prese con problemi più grandi di lui ma in grado di trovarne comunque la soluzione, come in Sully e Il ponte delle spie, l’Alan Clay interpretato da Hanks soffre per gli insuccessi legati al proprio business (la chiusura di uno stabilimento delocalizzato in Cina) e alla propria sfera affettiva (il divorzio dalla moglie e il mancato pagamento della retta universitaria della figlia), ma combatte contro una depressione in agguato, rifugiandosi nell’alcool, e lotta contro una minacciosa escrescenza che gli è spuntata sulla schiena. Incarnando idealmente, dunque, quella middle class statunitense capace di trovare ancora e sempre dentro di sé le risorse necessarie a fronteggiare ogni agguerrita “concorrenza”.
In questo senso, pur trattandosi di una coproduzione internazionale, Aspettando il re riflette con precisione il modello filmico dell’american way of life, ripercorrendo però con buon ritmo narrativo, dialoghi efficaci e contestualizzazioni geografiche credibili le orme di un dramedy gradevole e ben orchestrato. Alleggerito da una love story sbrigativamente consolatoria, ma sostenuto da situazioni da teatro dell’assurdo che richiamano il Beckett di Aspettando Godot, da alcune dolorose ferite esistenziali che graffiano il racconto e dal progetto di un’enorme sviluppo edilizio nel bel mezzo del deserto saudita che intriga e sgomenta al tempo stesso.
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