Verso le elezioni europee. Gli slogan elettorali
Ridurre le sovranità nazionali e far crescere la sovranità europea
Gli slogan elettorali si sprecano e, spesso, con essi ne è vittima l’intelligenza necessaria per affrontare temi complessi come quelli europei. Sullo slancio vanno di moda anche appelli al voto per la persona, magari anche raddoppiandone il nome perché sia a tutti chiaro che quello è il perno di tutto, tanto peggio per i progetti inesistenti e anche per i partiti di appartenenza.
Sperando di fare cosa gradita ai cittadini-elettori proviamo a partecipare a questo gioco, chiedendo fin d’ora scusa alla nostra fragile democrazia, rovesciandolo con la speranza di riuscire a tradurre in positivo la forma del messaggio, con l’invito a precisare nel voto “Europa, detta Unione”.
L’Europa per molti è ancora solo un’espressione geografica, quella del piccolo Vecchio continente, una lista di tanti Stati-nazioni sopravvissuti ammaccati alle tragedie dei secoli scorsi, ciascuno con la propria bandiera, la sua storia, la sua geografia, soprattutto con le sue “sacrosante frontiere” da proteggere.
E’ l’Europa della prima metà del Novecento, quella che ancora non aveva tentato la straordinaria impresa del processo di integrazione e di riunificazione continentale che a una parte importante dell’Europa avrebbe cambiato orizzonte e destino.
Non a caso quell’impresa venne chiamata “Comunità europea”, quella dei primi Trattati che nel tempo, avrebbero dato forma alla “Unione Europea”, così ribattezzata nel 1992, all’indomani dell’abbattimento del Muro di Berlino, dell’unificazione tedesca e della dissoluzione dell’Unione Sovietica, fino ad arrivare all’inizio di questo secolo al grande allargamento ad est.
Tutti eventi di dimensione storica che sembrano già evaporati nella memoria, come accaduto lo scorso 1° maggio quando in pochi si accorsero che quella data ricordava i vent’anni dalla svolta storica del 2004, che avrebbe segnato a lungo il futuro del continente.
Forse non si è trattato di una dimenticanza casuale, vuoi perché di quella data qualcuno non ha un buon ricordo, altri perché consideravano scontata quella progressione dell’UE, altri ancora perché non si sono accorti che l’UE non è una cosa, ma una storia in costante evoluzione.
E così accade che qualcuno si sia fermato – o cerchi di tornare – agli staterelli-nazioni del secolo scorso, un abito di Arlecchino che veste l’Europa, ognuno con il proprio colore e tutti a giocare la stessa commedia del “lei non sa chi sono io”, cominciando da quelle e quelli che adesso, da dentro, pretendono di mettere in riga l’Unione, spingendola indietro a blindare frontiere, ad alimentare competizioni nazionali, con protagonismi di modesta statura animati dalla pretesa di “cambiare l’Europa”.
L’obiettivo sarebbe largamente condivisibile se solo fosse chiaro che cosa s’intenda per cambiamento: semplificando, se cambiare per andare avanti nel processo di integrazione verso una progressiva sovranità europea o per regredire all’indietro verso le “piccole patrie”, quelle responsabili delle tragedie della prima metà del Novecento.
L’elettore italiano, se conosce la Costituzione della Repubblica e le vuole essere fedele, sa fino dal 1948 quale è la risposta coerente. E’ quella contenuta nell’art. 11 della Costituzione, quando dice che “l’Italia... consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali volte a tale scopo”. Tradotto, nel caso dell’Unione Europea: se si vuole pace e giustizia bisogna ridurre le sovranità nazionali e far crescere la sovranità europea. Esattamente il contrario di chi lancia slogan come “Più Italia, meno Europa” ignorando, con la Costituzione, anche il semplice buon senso di chi sa che il nostro Paese ha bisogno per sopravvivere di essere ancorato all’Europa, pena scivolare in una deriva che ci porterà ai margini del mondo di domani.
Per questo bisogna votare “Europa”, quella però “detta Unione”, non quella delle piccole patrie che hanno già abbastanza dilaniato questo nostro Vecchio continente.
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