Roma e Bruxelles, un dialogo difficile
Il 20 settembre in programma la presentazione del progetto di bilancio alla UE
Gli ultimi giorni di agosto saranno impegnativi tanto per la riconfermata presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che per la sua “ex-amica” Giorgia Meloni, presidente del Consiglio italiano.
Fine agosto: si apriranno le danze per la formazione della nuova Commissione europea e prenderanno avvio le complesse manovre per la preparazione della legge di bilancio 2025, vincolata dalle regole del nuovo Patto di stabilità appena entrato in vigore.
Si tratta di due procedure già di per sé complesse che potrebbero complicarsi ulteriormente intrecciandosi tra di loro. Limitiamoci per ora a raccontare la prima, sul versante europeo e su quello italiano.
Sul versante europeo il 30 agosto è la scadenza fissata da Ursula von der Leyen per ricevere le proposte di ciascun governo nazionale per le candidature a componente della Commissione, composta da un rappresentante per Paese UE. “Proposte” al plurale, nel senso che la richiesta è stata di comunicare due nomi, uno femminile e uno maschile, con l’obiettivo di raggiungere una sostanziale parità di genere nel Collegio, un risultato ambizioso raggiunto nella legislatura scorsa.
E già qui cominciano i problemi: al momento tra i nomi già proposti e quelli annunciati vi è un forte squilibrio maschile, a testimonianza di una cultura “maschilista” che resiste in politica, e non solo, e di una resistenza della maggior parte dei governi nazionali a rispettare orientamenti comunitari.
Se nel frattempo le cose non cambieranno resta alto il rischio che la procedura possa incepparsi: non tanto perché sarà stata inascoltata Ursula von der Leyen – ma sarebbe un segnale politico di prova di forza nei suoi confronti da parte dei governi nazionali – ma perché il problema potrebbe trascinarsi in Parlamento, cui spetta l’approvazione finale della composizione della Commissione.
Si innesta qui anche il caso italiano, non solo perché il governo sembra intenzionato a presentare un solo nome e maschile, ma anche perché resta la rivendicazione di un portafoglio importante – tradotto: economico o dintorni – cui si aggiunge la richiesta di affidare al membro italiano una vice-presidenza esecutiva. Richieste non leggere quando si hanno a mente le non buone relazioni del presidente del Consiglio italiano con Ursula von der Leyen e i rari profili politici di qualità disponibili nell’area della maggioranza politica di governo. Sarà interessante registrare a inizio settembre le reazioni di Ursula von der Leyen, ma più ancora vedere all’opera le “forche caudine” – e non sarebbe per l’Italia la prima volta – del Parlamento europeo.
Sempre sul versante italiano, se candidato alla Commissione europea dovesse confermarsi Raffaele Fitto, l’attuale ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), rischiano di aprirsi problemi per il governo, determinato a non procedere a un rimpasto, con il rischio di aprire un vaso di Pandora tra le forze di maggioranza. Senza dimenticare che la gestione, già in ritardo, del PNRR subirebbe nuovi trasferimenti di responsabilità, dopo quella che già era intervenuta nella titolarità della competenza, passata dal ministero dell’economia alla presidenza del Consiglio, con l’ulteriore rischio di scorporare le altre competenze del ministero attuale dalla realizzazione del PNRR, una saldatura che stava dando buona prova di coerenza nella ancora insoddisfacente utilizzazione degli importanti fondi europei da parte dell’Italia.
Tutto questo all’immediata vigilia della preparazione del bilancio 2025 che avvia il doloroso processo settennale per la riduzione del debito pubblico italiano, ormai a un passo dai 3.000 miliardi di euro. Si profila un difficile dialogo tra Bruxelles e Roma quando, il prossimo 20 settembre, il governo italiano dovrà anticipare il suo progetto di bilancio alla Commissione europea e i primi segnali non sono incoraggianti.
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