Nuova legislature UE: chi governerà fino al 2029?
All'Italia la bandierina politica di una Vice Presidenza esecutiva
E’ ancora presto per avere le idee chiare su chi governerà effettivamente l’Unione Europea nel corso della nuova legislatura 2024-2029 appena aperta, perché le variabili sono ancora molte.
Sul versante della Commissione Europea, considerata con qualche approssimazione il “governo UE”, la recente composizione del Collegio dei commissari dovrà ottenere l’approvazione del Parlamento europeo nel corso del mese di ottobre per potersi insediare definitivamente, salvo sorprese, tra fine novembre e inizio dicembre.
Sul versante del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, il vero potere politico dell’Unione, il futuro è reso incerto da crisi politiche in corso e da altre in vista, come nel caso della Francia e del Belgio alla ricerca di un governo, della Germania alle prese con elezioni regionali che stanno indebolendo la coalizione al potere e il suo Cancelliere, mentre si profilano il prossimo anno importanti elezioni politiche nazionali. Si potrebbe continuare con la maggioranza fragile che governa in Spagna e con l’incognita del governo olandese, in attesa di conoscere l’esito delle elezioni politiche in Austria a fine settembre.
Questo premesso, qualche considerazione può già essere formulata sul profilo politico della Commissione europea, come risulta dalla proposta fatta la settimana scorsa a Strasburgo da Ursula von der Leyen, senza dimenticare una valutazione preliminare sul metodo seguito nelle designazioni.
Le modalità adottate per le designazioni non sono purtroppo una novità e non sembrano rispettare, come sarebbe necessario, l’art. 17 del Trattato di Lisbona attualmente in vigore che recita: “I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza… i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo…”.
Chi avesse seguito le trattative italiane – ma non è andata molto diversamente altrove – con la presidente della Commissione europea e gli argomenti addotti in favore della candidatura nazionale proverà qualche difficoltà a trovare traccia di quanto stabilito dal Trattato. Emerge nettamente l’impressione che per il candidato siano stati fatti prevalere argomenti più per un “rappresentante del governo nazionale” piuttosto che per un “commissario europeo”, indipendente e non vincolato dai prevalenti interessi della “Nazione”.
Quanto al profilo complessivo della proposta di nuova Commissione grande è la frammentazione delle competenze: risulta chiaro lo spostamento verso la destra politica, è stato raggiunto un relativo equilibrio di genere (un risicato 40% di donne), premiati in misura diversa i principali Paesi UE, Spagna e Polonia compresi, distribuiti i portafogli spacchettando competenze e intrecciando responsabilità a tutto beneficio di una presidente-arbitro che, a giudizio di molti, sembra rafforzare una “gestione presidenzialista” della Commissione, già largamente sperimentata nella legislatura precedente”. Una gestione che le è consentita, oltre che dalla sua “diabolica” abilità politica (copyright Romano Prodi), dalla sua appartenenza nazionale e da quella politica al Partito popolare europeo che fa man bassa di commissari (14 su 26), tenendo molto a distanza i liberali e i socialisti, mentre sono presenti destre euro-scettiche e l’estrema destra ungherese.
Da non trascurare il ruolo importante affidato ai Paesi del centro-nord, Polonia e baltici in testa maggiormente esposti alla minaccia della Russia, e la competenza sul Mediterraneo affidata alla rappresentante della Slovenia.
Dopo non poche tensioni, con argomentazioni non sempre pertinenti e credibili, all’Italia è stata concessa, nella persona del ministro Raffaele Fitto, la bandierina politica di una delle sei vicepresidenze esecutive con l’effetto di ridurne il peso del portafoglio, limitato sostanzialmente alla politica regionale e alle riforme (senza ancora bene sapere quali) e una circoscritta competenza economica condivisa con il potente falco lettone Dombrovskis, poco o niente disponibile a una flessibilità sulle regole finanziarie europee e a una proroga sulla scadenza del PNRR, due deroghe nelle quali spera l’Italia.
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