Con Il Cittadino nel Giubileo 2025
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Quale speranza in carcere?

Dal Papa l'appello a forme di amnistia e condono della pena

Despondere spem munus nostrum, garantire la speranza è il nostro compito: così dice il motto della Polizia Penitenziaria. Un compito impegnativo, nobile e difficile, che si estende a quanti operano all’interno degli istituti penitenziari.

Eppure parlare di speranza in carcere sembra a volte non solo difficile ma addirittura inutile e senza senso. Mentre pensavo a questo articolo, pochi giorni fa, proprio nel carcere di Marassi un detenuto di 21 anni si toglieva la vita, il 5° a Marassi, l’85° in Italia dall’inizio dell’anno; e giorno dopo giorno, quando poi si continuano a vedere rientrare sempre le stesse facce, ogni volta più segnate dalla vita disordinata, dall’uso di droghe, dall’ennesima sconfitta quando provavi a ‘tirarti su’, anche il più tenace degli operatori allarga le braccia sconsolato.

Possiamo ancora sperare, in carcere?
Il Santo Padre lo ribadisce con forza, e decide di avviare l’anno giubilare proprio aprendo una porta santa nel carcere di Rebibbia: possiamo e dobbiamo continuare a offrire speranza in carcere.
Ma quale speranza?

Certamente esiste per tutti la speranza ultima di entrare nel Regno, “nonostante tutto”.
“I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio”, aveva detto Gesù, e ne aveva dato il segno concreto nella stupenda redenzione del brigante crocifisso al suo fianco, “Oggi sarai con me in Paradiso”.

La nostra fede è tuttavia una fede incarnata, proprio perché fede nel Figlio di Dio fatto uomo, e come Gesù annunciava il Regno con segni concreti di guarigione e di liberazione, così anche noi dobbiamo anticipare la speranza del Regno con concreti segni di speranza terrena:
“Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi…
… In ogni angolo della terra, i credenti, specialmente i Pastori, si facciano interpreti di tali istanze, formando una voce sola che chieda con coraggio condizioni dignitose per chi è recluso, rispetto dei diritti umani e soprattutto l’abolizione della pena di morte, provvedimento contrario alla fede cristiana e che annienta ogni speranza di perdono e di rinnovamento. Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita” (Spes non confundit, n. 10).

Perché è diventato così difficile sperare in carcere? Non mi addentro in questioni psico-sociologiche di cui non ho competenza, chiederei solo di smetterla di parlare del famigerato ‘sovraffollamento’ come causa scatenante di gesti disperati: quando nel 2005 ho iniziato il servizio a Marassi i detenuti erano più di 800 (oggi sfiorano i 700) e le celle tenevano 8-9 persone, contro le 5-6 di oggi. Sono state apportate migliorie alle condizioni di vita (penso ad esempio alle docce in ogni cella e non più comuni, nei corridoi delle sezioni).
Sono più facili i collegamenti telefonici coi familiari (nel 2005 si autorizzavano telefonate solo ad utenze fisse!) o le videochiamate via whatsapp, introdotte con la pandemia… Eppure i suicidi e altri gesti disperati sono in aumento!

Il problema vero è che la speranza ha abbandonato la vita anche all’esterno: speranza intesa come cognizione del senso dell’esistenza, come progettualità, come capacità di impegni a lunga gittata.

Il carcere, così come lo viviamo oggi, pare sia nato proprio da una concezione cristiana: l’uomo può cambiare, convertirsi, redimersi: occorre dargliene il tempo! Così al monaco recalcitrante si offriva del tempo, da trascorrere in cella, in preghiera e penitenza, per ritrovare sé stesso e tornare all’osservanza della regola. Questo dovrebbe tornare ad essere il tempo del carcere, attraverso la proposta di uno stile di vita ‘buona’ e la possibilità di accedervi veramente all’uscita.

Mentre invece la giustizia umana utilizza il tempo, il prezioso tempo, come moneta di scambio. E fa ‘pagare’ al detenuto il male commesso facendogli perdere, senza alcun costrutto, giorni, mesi, anni.
Il giubileo, ogni anno giubilare, ci impegna a riconsiderare il senso del tempo.

* Cappellano del Carcere di Marassi

Fonte: Il Cittadino
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