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Don Paolo Gatti: «Il carcere, la mia parrocchia»

Testimonianza del Cappellano del Carcere di Marassi: «Come cristiani e come cittadini di una società civile ci rendiamo conto che il carcere è una ferita aperta»

Don Paolo Gatti: «Il carcere, la mia parrocchia»

Da alcune settimane Il Cittadino affianca il Servizio Promozione Sostegno Economico alla Chiesa Cattolica nella campagna “Uniti nel dono”, per informare i fedeli sulla possibilità di effettuare offerte deducibili per i sacerdoti, in modo da garantirne la presenza e l’opera nelle comunità.
Stiamo incontrando alcuni sacerdoti della Diocesi che offrono la loro testimonianza e raccontano il loro impegno nelle parrocchie, nei gruppi, nelle associazioni, sempre disponibili per chi li cerca o ha bisogno di un consiglio.

Questa settimana è la volta di don Paolo Gatti, Cappellano Casa Circondariale di Genova Marassi e Rettore Spirituale Veneranda Compagnia di Misericordia.

Don Paolo, dal 2005 sei Cappellano della Casa Circondariale di Genova Marassi. Quella del carcere è una realtà complessa, di cui si parla solo in concomitanza di fatti di cronaca più o meno gravi. Una realtà di cui si conoscono esclusivamente gli aspetti problematici. Che cosa ci puoi raccontare in base alla tua esperienza?
Quando nel settembre 2005 cominciai il mio servizio nel Carcere di Marassi, iniziò per me anche la scoperta di un mondo misterioso e complesso, assolutamente impensabile se immaginato al di qua del muro di cinta. Le poche notizie che compaiono in occasione di alcuni eventi 'critici' (suicidi, aggressioni, disordini...), che pure purtroppo accadono, danno un'immagine distorta della complessa realtà quotidiana che si vive in carcere. Sottolineo "che si vive", perché il mondo dietro le sbarre è un pulsare continuo di gente in movimento, di cose che si fanno, di servizi da svolgere, di attività necessarie. Nel cimitero di Staglieno, il monumento dedicato ai Caduti della Polizia Penitenziaria reca una iscrizione molto significativa: “La fatica di mantenere una divisione fra gli uomini”. La decisione sul se, come, quanto sia necessario mantenere una divisione tra gli uomini è compito di altre istituzioni. Come cristiani e come cittadini di una società civile ci rendiamo conto che il carcere è una ferita aperta, una visibile conseguenza dell'opera del Nemico, il grande Divisore. Chi vuol vivere secondo lo Spirito non si arrende al male, cerca sempre di vincerlo col bene, pur nella consapevolezza che la battaglia andrà avanti fino alla fine del tempo. L'istituzione carceraria si potrà sempre migliorare, ma non abolire del tutto.

Come svolgi il tuo incarico di Cappellano? Come ti avvicini ai detenuti e cosa loro si aspettano da te?
Ho la grazia di potermi dedicare al carcere in modo quasi esclusivo, come fosse la mia parrocchia. La presenza continuativa è importante. La celebrazione delle messe festive (una al sabato pomeriggio e due la domenica mattina, per le differenti sezioni in cui è suddivisa la popolazione carceraria) offre una prima occasione d'incontro. I detenuti possono comunque richiedere un colloquio col cappellano tramite un modulino (la cosiddetta 'domandina', già resa celebre dal film di Sordi Detenuto in attesa di giudizio). Spesso sono gli agenti della Penitenziaria che mi segnalano detenuti che avrebbero piacere di parlarmi, o i volontari della Compagnia di Misericordia, in prima linea nell'accoglienza dei 'nuovi giunti'. Sempre più, rispetto al passato, le richieste riguardano però bisogni materiali. Non c'è giorno in cui non mi arrivi la richiesta di 'casa e lavoro' per poter uscire...

All’interno del Carcere di Marassi ci sono dei “punti luce” che ci vuoi raccontare? L’esperienza del Teatro in Carcere è forse quella più conosciuta…
I veri 'punti luce' del carcere sono quelli che rimangono all'oscuro! È bello che Marassi finisca sul giornale per lo spettacolo teatrale realizzato dai detenuti o per i pranzi di Natale organizzati con tantissimo impegno e fatica dalla Comunità di S. Egidio. Ma poi? Ciò che rende meno cupa la vita del carcere è lo "sbattimento" quotidiano di poliziotti, volontari, operatori, educatori, insegnanti i cui studenti vanno dall' ABC della lingua italiana all'università.

Sei anche Rettore Spirituale della Veneranda Compagnia di Misericordia, che opera nell’assistenza ai detenuti e nel loro reinserimento sociale grazie all’aiuto di volontari. C’è qualche storia personale a cui sei più legato?
Sono subentrato a mons. Marco Doldi come Rettore Spirituale della Veneranda da circa un anno, anche se coi volontari attivi a Marassi sono in contatto sin dall'inizio. E voglio qui ricordare il nostro grande colonnello Antonio Faravelli, per me maestro di vita e testimone di fede, volontario per oltre 40 anni, mancato un anno e mezzo fa.
Siamo alla vigilia dell’Anno Santo 2025, dedicato dal Papa alla speranza. Come pensi che possa inserirsi nella realtà del carcere?
Il Santo Padre vuole iniziare il Giubileo aprendo una Porta Santa proprio nel carcere di Rebibbia. È un segno che non possiamo trascurare. Ci siamo già incontrati tra noi cappellani della Liguria coi volontari e col nostro coordinatore nazionale, mons. Raffaele Grimaldi, per cominciare a studiare i percorsi da fare in vista del Giubileo delle Carceri, a dicembre 2025.

Fonte: Il Cittadino
Don Paolo Gatti: «Il carcere, la mia parrocchia»
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