La scelta di Catia
Hanno parlato di “docu-fiction”, in realtà aveva tutta l’aria di un vero e proprio documentario. Ma forse questa definizione avrebbe tratto in inganno rimandando a un genere da troppi considerato - a torto - polveroso. E così, sotto mentite spoglie, Rai 3 ha mandato in onda in prima serata “La scelta di Catia - 80 miglia a sud di Lampedusa”, un reportage sull’attività del capitano Catia Pellegrino, prima donna al comando del pattugliatore “Libra”, una delle navi militari quotidianamente impegnate nell’operazione Mare Nostrum.
La produzione, realizzata da H24 per Rai Fiction e Corriere della Sera in collaborazione con i vertici della Marina Militare Italiana, è stata proposta anche sul sito del quotidiano online in forma di “webseries” e racconta minuto per minuto non soltanto le operazioni di pattugliamento e di soccorso dei barconi stracarichi di migranti che cercano di raggiungere le coste della piccola isola siciliana, ma anche la vita a bordo della nave e tutto ciò che precede o segue gli interventi di soccorso.
Ideato da Mauro Parissone per la regia di Roberto Burchielli, il racconto è girato in presa diretta ma propone spesso una serie di flashback utili a capire come si dipana l’esistenza del capitano Pellegrino e del suo equipaggio. La scelta non è caduta su una nave qualsiasi: il “Libra” è l’unità navale che un anno fa salvò più di duecento migranti durante un naufragio in cui molte altre decine persero la vita annegando. Da quella data storica è nata l’operazione Mare Nostrum, che ha affidato a Catia e ai suoi colleghi della Marina la missione di impedire a ogni costo e con qualunque mezzo la possibilità che un simile dramma si ripeta.
La protagonista è seguita in primo piano dalle telecamere, cosi come lo sono tutti i suoi marinai. Le telecamere indugiano su tutti i momenti della vita a bordo, dalla sveglia al ritiro notturno in branda, lasciando emergere la naturalezza dei ritmi di bordo e la complessità di una vita de dicata a una scelta certamente impegnativa.
Non ci sono voci esterne in fuori campo, sono i protagonisti stessi a fermarsi di tanto in tanto davanti alla telecamera per offrire una testimonianza diretta di quello che fanno e, soprattutto, di come lo fanno.
Il risultato è un programma coinvolgente e toccante, ma mai melenso né melodrammatico e tantomeno patetico, in cui la ripresa realistica restituisce buona parte dell’umanità che anima l’attività dell’equipaggio. E così si scopre che i nostri militari non sono soltanto persone che obbediscono agli ordini, ma dimostrano una dose eccezionale di umanità nel prendersi cura dei migranti e delle loro situazioni disperate, si tratti di confortare qualcuno che si è appena salvato dal mare mosso, di soccorrere una donna incinta bisognosa di intervento immediato, di abbracciare un bambino con gli occhi persi nel vuoto.
Gli scriteriati che si ostinano a predicare la politica dei respingimenti a priori e che continuano a proporre becere campagne razziste basate sul falso sillogismo per cui tutti i migranti sono clandestini e tutti i clandestini sono delinquenti dovrebbero guardare queste immagini e riflettere. Sulla propria fortuna, sulla sfortuna altrui, sulla possibilità che l’accoglienza sia qualcosa di concreto e di profondamente umano.
Le storie dei migranti raccontano paura, sofferenza, rischio della vita, impossibilità di rinunciare al sogno della fuga da situazioni in cui la sopravvivenza è una scommessa quotidiana. I loro racconti si intrecciano con quelli di Catia e del suo equipaggio, un gruppo di persone che ha imparato presto a sacrificare il proprio tempo e i propri ritmi di lavoro a una missione che oltrepassa di gran lunga gli obblighi militari e ci richiama tutti quanti a un dovere della solidarietà troppo profondo per essere condizionato da qualche politicante da strapazzo.
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