La conta dei salvati
La voce di papa Francesco, unica tra quelle dei leader mondiali, che si è levata per contestare l'aurea di inevitabilità che circonda l'opzione di uso delle armi in Siria, ha contribuito a riaprire un dibattito. Numerosi sono stati gli osservatori che hanno guardato con malcelata ironia all'appello appassionato del Pontefice: "Certo, tutti sono a favore della pace - si potrebbero riassumere molte argomentazioni - ma chi può realisticamente pensare a un mondo senza armi e senza conflitti?". Sembra opportuno al riguardo prendere tra le mani lo studio della storica Anna Bravo, pubblicato nel giugno scorso da Laterza: "La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato" (Laterza, 244 pagine, 16 euro).
La Bravo scorre alcune delle vicende geopolitiche più significative del Novecento e le analizza a partire da una prospettiva storiografica nuova: non esiste un unico punto di vista per analizzare un periodo, e non sempre aiuta a penetrare una fase della storia a partire dalle vite perdute nei conflitti. A volte, a fare la storia non sono le guerre combattute, le vittime, i danni, ma le vite salvate, i conflitti evitati, il lavoro silenzioso, sotterraneo per comporre le tensioni e per costruire la pace. Perché la pace non è "un dono della fortuna o un vuoto tra una guerra e l'altra", ma "il frutto di un lavorio umano, è quel lavorio stesso". Certo, questo studio si muove su un terreno insidioso per uno storico. La storia recita un adagio, non si scrive con i "se" - ed è vero - ma lo storico, se pure non giudica, scruta con occhio critico, sceglie continuamente che cosa indagare, che peso dare agli avvenimenti. Quanto spazio dare, in un manuale di storia a Churchill e quanto a Gandhi? Anna Bravo propone di ridefinire gli standard di valutazione, di rileggere con occhio diverso le grandi vicende del secolo scorso e lo fa lasciando emergere storie concrete. Ci sono le guerre evitate (anche da diplomazie e governi) tra i secoli XIX e XX, le molte tregue spontanee e le fraternizzazioni fra "nemici" da trincea a trincea nella Grande Guerra. C'è la storia e il pensiero di Gandhi - figura complessa, controversa - padre nobile della non-violenza. E ancora la resistenza disarmata ad Hitler dopo l'armistizio dell'8 settembre in Italia e in Danimarca.
Poi ancora il Kosovo di Rugova e il Tibet. Il libro della Bravo - appassionante, ricco di aneddoti, capace di tracciare un filo rosso che tiene insieme vicende tanto distanti tra loro - aiuta a comprendere che non necessariamente la violenza è un destino e che non è indiscutibile l'affermazione - così frequente in questi giorni sulle labbra di intellettuali e giornalisti - "è impossibile pensare che non esista un nemico". Esiste nella storia degli uomini uno spazio non deterministico, uno spazio di libertà: e lo sbocco finale di molte situazioni non è dipeso solo dalle cause, ma anche dalle scelte degli attori, perché, come scriveva Christa Wolf: "tra uccidere e morire c'è una terza via: vivere".
Perché il villaggio bulgaro di Derviche-Tepe, a maggioranza cristiana, ha dato protezione a sessanta turchi, mentre la prima, terribile, guerra balcanica infiammava gli odi etnici? Perché, dopo l'8 settembre 1943 tanti contadini rischiarono la vita per salvare il nemico di ieri? La storia delle vite salvate incrocia quella della non-violenza: talvolta incontra grandi personalità (Rugova, Gandhi che arriva a schierarsi contro il suo stesso popolo per proteggere l'ideale della satyagraha), altre un intero stato (la Danimarca della Seconda Guerra Mondiale) altre ancora gente semplice, come i fanti nelle trincee della Grande Guerra, contadini, analfabeti, anti-ideologici, ma profondi cultori della fraternità.
Un libro bello, schierato senza essere ideologico, che aiuta a comprendere che la pace è un lavoro e non un sentimento vuoto e che non è una debolezza femminea, ma "virile" poiché richiede coraggio - e per questo spesso incontra sulla sua strada molte donne - e profondamente attiva: "le guerre - scrive l'autrice - scoppiano quando si smette di cercare la pace". In controluce si legge nell'autrice - certamente - una passione personale, ricca di citazioni di letteratura pacifista, ma la Bravo è scienziata onesta: cita, spiega le sue tesi, le confronta con un vasto repertorio di letteratura specialistica.
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