Cristiani a Sarajevo
A vent'anni dall'assedio di Sarajevo le edizioni Paoline pubblicano un libro-intervista che fa luce non solo sulle vicende storiche, ma anche su quelle esistenziali di un conflitto le cui ferite sono ancora aperte e vivissime. "Cristiani a Sarajevo" riporta la lunga intervista fatta da Roberto Morozzo della Rocca - uno degli storici più informati sulle vicende dell'Oriente europeo - al cardinale Vinko Puljic, testimone diretto della guerra in Bosnia, che in quegli anni difficili scelse di non lasciare la sua gente e, oggi, racconta con passione e lucidità il passato tragico e il presente difficile dei cattolici nella sua città. Chi non ama le etichette facili non apprezza neanche il nome di "Gerusalemme d'Europa" con cui in tanti indicano Sarajevo. Eppure in questa terra in cui coabitano serbi, croati e "bosgnacchi", i musulmani bosniaci, è difficile sfuggire alla retorica della convivenza ferita. Puljic lo fa con la semplicità e la profondità dell'uomo di fede, convinto del valore della convivenza, appassionato alla sua nazione e alla sua identità, radicato nella tradizione della sua Chiesa. Inizia dalla sua vita e dalla sua vocazione. E poi la sorpresa della chiamata ad arcivescovo della capitale, la scoperta della vicinanza di papa Giovanni Paolo II, soprattutto durante la guerra. Fino al 1994, quando il Santo Padre lo creò cardinale, lui, ancora così giovane, per dire alla sua chiesa che tutti i cattolici erano con loro. "Il Santo Padre chiedeva ed ascoltava molto. Mi invitò ad Assisi, alla grande preghiera per la pace in Jugoslavia. Dopo questa cerimonia mi portò con sé a cena. Ma lui diceva: "Vieni, vieni. Io ti voglio ascoltare."[…]. Si parlò di tante cose: voleva capire tutto, proprio come un padre. Era molto sensibile. Io ne ero profondamente commosso". Tanti i ricordi della guerra: la paura, i ricordi belli, le difficoltà di essere cristiani, ma anche la solidarietà e la scelta di continuare a girare per la città, per essere simbolo di speranza. E poi, l'attenzione al dialogo: "questa non era una guerra di una religione contro l'altra. Durante la guerra ho avuto tanti contatti con i capi musulmani e ortodossi. Non c'erano problemi tra noi". Oggi Sarajevo è una città molto cambiata e il Cardinale descrive la grave emorragia dei cattolici con grande preoccupazione. Ma ciò che serve in assoluto, per risanare le ferite della violenza e della guerra è il perdono: "Senza perdono - spiega - non possiamo accettare l'altro. Il perdono ne è condizione. Senza perdono come si può dialogare? Come facciamo convivenza, come parliamo di tolleranza? E c'è un'altra cosa: il perdono è una via di liberazione interiore. Quando un uomo perdona, è libero. Quando non perdona, è prigioniero. È molto importante liberarsi da se stessi e perdonare. Non si perde la responsabilità, perché rimane. Ma quando si perdona, il cuore si libera. È la conversione".
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