5a Domenica di Pasqua (anno C), Giovanni 13, 31-33
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
I l quarto vangelo non rappresenta l'ultima cena di Gesù nei tratti di una cena pasquale, come gli altri vangeli, dal momento che Giovanni colloca la morte di Cristo il 14 di Nisan, alla vigilia della Pasqua: così la cena del Maestro con i Dodici diviene un convito testamentario, segnato da gesti simbolici forti, come la lavanda dei piedi, e da un lungo discorso d'addio, che procede con ampie riprese, e che contiene le consegne di Cristo ai suoi. Sono parole lungamente maturate nella riflessione dell'evangelista, ed in esse ascoltiamo la voce non solo di Gesù, nell'ora solenne dell'ora di passare da questo mondo al Padre, ma anche la voce di Lui risorto, che tornato presso il Padre, accompagna i discepoli di ogni tempo con la sua parola e con la promessa certa che egli tornerà ed essi lo rivedranno. Si comprende allora perché in queste domeniche del tempo pasquale, la Chiesa ci propone passaggi dei discorsi d'addio, che si rivolgono proprio ai credenti, e che, mentre indirizzano lo sguardo indietro, a contemplare il volto e il mistero di Cristo, svelato nella sua storia tra gli uomini, nello stesso tempo aprono il cuore al Figlio dell'uomo ormai glorificato e attivo, in modo nuovo, nell'esistenza di chi lo riconosce e lo accoglie come "il Maestro e il Signore" (Gv 13,13.14). Lo sfondo del breve passo offerto al nostro ascolto è drammatico, perché dopo lo scandaloso gesto della lavanda dei piedi, e l'annuncio del tradimento di Giuda, inizia il lungo discorso di Gesù, un'effusione del suo cuore che sta per offrirsi al Padre, secondo un amore estremo, "fino alla fine" (Gv 13,1), per i suoi. C'è un contrasto forte e voluto da Giovanni tra il buio della notte, che sembra inghiottire Giuda, uscito dal cenacolo, e le parole iniziali di Gesù, che adotta il linguaggio della glorificazione. L'ora in cui sta entrando Cristo, è l'ora della gloria, gloria intesa come manifestazione dello splendore luminoso di Dio, che si rivela nel suo Figlio: qui c'è il paradosso che continua a segnare l'esistenza cristiana, perché siamo posti di fronte ad una luce che si fa strada nella notte, nelle tenebre dell'odio e della violenza gratuita, "senza ragione", che si abbatte sull'innocente Gesù. Luce e tenebre, gloria e carne sofferente sono gli estremi che s'incontrano nell'ora della Pasqua e che da allora si riflettono, in vari modi, nell'esperienza dei discepoli di Cristo.
Ma la gloria rivelata nel Figlio glorificato e nel Dio che riceve gloria e dà gloria al Figlio, non ha niente a che vedere con la potenza mondana o l'effimero splendore del potere umano, ma è la bellezza dell'amore, un amore inerme e deriso nella passione e nella croce, eppure già vittorioso contro il male, perché Gesù liberamente si consegna e depone la vita, certo di riprenderla di nuovo nella novità della risurrezione. Come questa gloria dell'amore di Cristo permane nella storia, anche nel tempo attuale in cui il Signore risorto non è più visibile ai suoi discepoli e si realizzano così le parole dell'addio: "Figlioli, ancora per poco sono con voi"? Alla domanda l'evangelista risponde facendosi testimone della consegna, da parte di Gesù, del "comandamento nuovo" che sarà definito anche "il mio comandamento" (Gv 15,12): "Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri". Il "comandamento" ma è una disposizione e un dono che Cristo lascia e affida ai suoi, e la sua sorgente più profonda sta nell'amore inesauribile e totale, con cui Gesù ci ha amato e ci ama: il "come" del comandamento indica, la misura eccedente e singolare dell'amore, attestato nella carità del Figlio, che si è dato per noi fino alla croce, e la fonte a cui possiamo attingere per imparare ad amare, per lasciarci trasformare dalla dilezione gratuita del Signore: siamo chiamati ad amarci come Lui ci ha amati e per il fatto stesso che lui ci ha amati, in forza e in grazia del suo amore preveniente e sorprendente.
In questo modo la gloria dell'amore, che si rivela in Cristo, potrà continuare a splendere nei giorni della nostra storia travagliata e ferita, e questo sarà il segno primo che, come discepoli dell'unico Signore e Maestro, noi potremo testimoniare al mondo, ai nostri fratelli uomini.
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