IV Domenica di Pasqua, Gv 10, 11-18
Il buon pastore offre la vita per le sue pecore
La pagina di Vangelo di questa domenica quarta del tempo pasquale è parte del capitolo decimo del Vangelo di Giovanni, e risulta comprensibile solo se letta nel suo contesto, ossia i capitoli nove e dieci.Leggiamo infatti il seguito del racconto della guarigione del cieco nato, nel Tempio di Gerusalemme, probabilmente durante la festa della Dedicazione del Tempio (Chanukka), una festa invernale con un rituale pieno di luci, simile al nostro Natale.
La pagina di Vangelo di questa domenica quarta del tempo pasquale è parte del capitolo decimo del Vangelo di Giovanni, e risulta comprensibile solo se letta nel suo contesto, ossia i capitoli nove e dieci.Leggiamo infatti il seguito del racconto della guarigione del cieco nato, nel Tempio di Gerusalemme, probabilmente durante la festa della Dedicazione del Tempio (Chanukka), una festa invernale con un rituale pieno di luci, simile al nostro Natale.Siamo di fronte ad una sovrabbondanza simbolica, come se l'evangelista Giovanni accumulasse i simboli che si riferiscono a Gesù, per darci un'idea della profondità e ricchezza di significati che troviamo in Lui. Non bastano mai le parole, quando tentiamo di descrivere una persona eccezionale, quando vogliamo raccontare un'esperienza indimenticabile e fondamentale della nostra vita. Così la catechesi di Giovanni vuole farci capire che Gesù è la vera luce, e chi crede passa per gradi dalla cecità alla capacità di vedere (la fede), grazie ad un po' di fango e all'acqua (del Battesimo), mentre chi rifiuta di credere e pensa di vedere, rimane in profonde tenebre.Per questo Gesù presenta a tutti un enigma, una parabola, ossia un insegnamento del quale i discepoli non colgono nulla (Gv 9,6), parlando del ladro che non entra per la porta dell'ovile, e del pastore che non solo entra dalla porta, ma conosce per nome le sue pecore, e le spinge fuori dall'ovile, camminando davanti a loro.Il brano che leggiamo è la spiegazione di questa similitudine data da Gesù stesso, ma per capirla bisogna cercare di entrare un po' nella terminologia da Lui usata. Ad esempio l'ovile: il termine greco usato da san Giovanni si ritrova nell'Antico Testamento (la famosa versione greca dei Settanta) per indicare un recinto, un cortile, uno spazio quindi fra quattro mura, e precisamente il 'cortile del Tempio', lo spazio che da l'accesso al luogo di incontro tra Dio e il credente.Ricordando che al capitolo secondo del suo vangelo Giovanni ci ha già presentato il corpo di Gesù come 'vero tempio', è abbastanza chiaro che il cortile del Tempio, l'ovile, il recinto in cui entrano i credenti è proprio Lui stesso, il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù.Ma Gesù stesso si presenta anche come porta (10,7). E' un rimando all'interpretazione in senso messianico del salmo 118, quello che cantiamo anche noi nella domenica delle Palme, 'Hoscia-nah! Osanna! (Orsù, Signore, salva!). Il credente cerca le porte giuste (porte di giustizia) per entrare a rendere grazie al Signore, e scopre è Colui che il Signore manda a salvarci, è attraverso di Lui che Dio Padre riversa su di noi la sua luce (sal 118,27).La porta attraverso la quale entrano solo i giusti, il Messia è la 'porta del Signore' (sal 188,20), Gesù stesso, 'pietra scartata dai costruttori, ma ora pietra angolare' nella costruzione della nuova assemblea dei credenti, radunata dal Signore (sal 118,22). Veramente più che mai in questo tempo pasquale scopriamo con gioia che Cristo è il Mediatore unico, l'unica porta di accesso al Padre per la nostra fede di credenti.Solo tenendo presente il suo ruolo unico, la porta può anche essere intesa come la Sacra Scrittura (così Tommaso d'Acquino) o la sua chiamata-vocazione (s. Agostino).Ma la metafora più importante di questa pagina è sicuramente il termine pastore che Gesù applica ancora a se stesso, pastore bello (così nel greco kalos), che noi traduciamo buono perché la nostra concezione estetica è molto lontana dalla mentalità biblica.Per la Scrittura ciò che è buono è anche bello, irradia una sua bellezza derivante dalla bontà interiore, e per ciò stesso ciò che è bello deve necessariamente essere buono, rispecchiare una bontà interiore.Siamo lontani dai canoni di bellezza che ci vogliono tutti magri, abbronzati, spalmati di creme di eterna vita che facciano scomparire le rughe⦠la bellezza biblica non si misura in centimetri o con effimeri concorsi, ma è la luce che traspare sul viso da un cuore purificato, gioioso, pacificato.L'unica cura per ottenere una tale bellezza-bontà è la contemplazione del volto radioso di Dio nel Cristo Risorto, come ricorda un credente dell'antichità : 'una cosa sola ho chiesto al Signore: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e vegliare meditando nel suo santuario' (sal 27,4 NRV).Attirati dalla luce di bellezza del Pastore, le pecore entrano nella vita risorta, lo seguono, entrano ed escono liberamente da Lui protette ed accompagnate.Mosè era pastore in Madian quando aveva dovuto combattere contro i 'cattivi pastori', che derubavano le figlie di Ietro-Reuel (Esodo 2,16).Davide è pastore di un piccolo gregge quando viene 'unto' re dal profeta Samuele per ordine di Dio (1Samuele16). Dio è l'unico e vero pastore del suo popolo, come prega il salmo 80: 'Tu Pastore di Israeleascolta!' A Lui si indirizzano le nostre preghiere e le nostre lodi, Egli è la luce e la guida. Ma da sempre, Egli hascelto dei rappresentanti, sceglie dei mediatori per guidare e dimostrare a noi il suo attento amore. Dal mododi amare, di curare, difendere e chiamare per nome le pecore il pastore che agisce per conto del Pastore Unico viene riconosciuto. Giovanni ci ricorda ancora una volta che sono sempre esistiti e probabilmente sempre esisteranno persone che cercano di sfruttare una posizione di preminenza all'interno della comunità ecclesiale per 'pascere se stessi', non per dedicarsi in pienezza al bene del prossimo (cf. Ezechiele 34). Ma non per questo Dio smette di prendersi cura dei suoi.Anzi. Gesù ci ricorda in questo brano che proprio il suo ruolo di Pastore, di guida e di luce del popolo dei credenti è svolto in un ambiente di amore reciproco che il Padre e il Figlio si scambiano.Il Padre ama e riconosce proprio figlio chi accoglie la parola-comando che ci rende capaci di donare generosamentela vita che abbiamo ricevuto.Gesù non considera assassini coloro che lo hanno ucciso e lo uccidono ancora nei fratelli: è Lui che ha deciso per primo di donare la propria vita spontaneamente, quindi non può che perdonarci sempre, lasciando a ciascuno lo spazio per la conversione, il ritorno alla vita, la decisione di entrare nell'ovile di Dio.
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