La parola
stampa

DOMENICA DELLE PALME, Mc 14,1 – 15,47

Cristo va incontro alla morte con libertà di figlio

Durante quest’anno liturgico stiamo leggendo domenica per domenica il Vangelo di Marco (integrato qui e là dal Vangelo di Giovanni). Logicamente quindi la litugia della domenica delle Palme di quest’anno ci propone la lettura per intero della Passione secondo Marco. Vediamo quindi alcune chiavi di lettura che ci aiutano a collocare la versione di Marco della Passione all’interno del racconto del suo Vangelo.

Cristo va incontro alla morte con libertà di figlio

Durante quest’anno liturgico stiamo leggendo domenica per domenica il Vangelo di Marco (integrato qui e là dal Vangelo di Giovanni). Logicamente quindi la litugia della domenica delle Palme di quest’anno ci propone la lettura per intero della Passione secondo Marco. Vediamo quindi alcune chiavi di lettura che ci aiutano a collocare la versione di Marco della Passione all’interno del racconto del suo Vangelo. Anziutto il lettore di Marco che arriva all’inizio del capitolo 14, cioè al racconto della Passione, non è colto di sorpresa da queste pagine. Lungo tutto il suo Vangelo infatti l’evangelista ha “preparato” il lettore-catecumeno, cercando di portarlo pedagogicamente ad una comprensione migliore del mistero del Figlio dell’Uomo – Figlio di Dio, Signore e Maestro e allo stesso tempo Servo sofferente e Profeta perseguitato. Fin dal primo capitolo, Marco aveva presentato l’arresto di Giovanni il Battezzatore, e al capitolo sesto la sua uccisione. Chiedendosi chi Gesù possa essere, il re Erode parla di lui ricordando tale esecuzione: “Quel Giovanni che ho fatto decapitare, proprio lui è risorto”. Il conciliabolo tra Farisei e cortigiani di Erode sul modo di eliminare Gesù è persino precedente (Mc 3,6), e per ben tre volte Gesù aveva chiaramente predetto ai suoi che la sua predicazione sul Padre misericordioso, sui riti e sulla interpretazione della Torah sconvolgeva le idee dominanti e avrebbe portato ad una morte violenta. I discepoli però non avevano colto la portata di tali eventi e parole durante il ministero di Gesù. Il culmine era stato il momento della purificazione del Tempio a Gerusalemme, dove anche le classi sacerdotali del santuario presero la decisione di eliminarlo. Ormai tutto è contro Gesù, e in tutti gli strati della popolazione ci sono persone che sarebbero contente che un tale disturbatore di coscienze e di usanze fosse tolto di mezzo. Una donna poi, compie un gesto profetico e, sapendo cosa sarebbe accaduto di lì a poco, aveva preparato il suo corpo per la sepoltura, con unguenti e aromi profumati: gesto di amore sempre ricordato e vissuto nella chiesa, da coloro che concretamente si distaccano dal gesto proditorio di un altro apostolo, che invece prepara tutto per la consegna (= tradimento) alle autorità che vogliono processarlo sommariamente e consegnarlo all’autorità romana per l’esecuzione. Conoscendo di essere stato tradito (consegnato) al nemico da uno dei suoi, Gesù compie il gesto supremo dell’offerta del suo sangue, come vero ed eterno sacrificio, compiuto una volta per sempre per tutti, come segno della nuova comunione di vita (Alleanza) offerta da Dio Padre attraverso di Lui. Gesù esce dalla cena e si avvia al monte degli Ulivi cosciente di questo destino, mentre l’evangelista Marco sottolinea che i discepoli non solo non hanno capito, ma non vogliono accettare una via di salvezza che passi attraverso il sangue (la vita) sparso e donato per tutti. Il messaggio tragico di Gesù trova appoggio in un’antica misteriosa profezia: «Sorgi, o spada, contro il mio pastore - dice il SIGNORE degli eserciti - Colpisci il pastore e siano disperse le pecore! Io volgerò la mia mano sui piccoli» (Zaccaria 13,7). Nella versione di san Marco, Gesù verrà lasciato completamente solo dai suoi, come ogni apostolo è solo davanti al dono della propria vita per gli altri. Ad esempio è san Paolo stesso a riferirci che “Nella mia prima difesa nessuno mi fu al fianco. Tutti mi abbandonarono”, anche se proprio come Gesù Paolo non ha risentimento alcuno e subito aggiunge “Che non sia loro imputato a colpa!” (2Timoteo 4,16). Il profeta, l’apostolo, il cristiano, come seguace di Cristo raccoglie l’insegnamento della Passione di Gesù, sapendo che “si devono attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio” (Atti 14,22).E’ normale che sofferenze, tribolazioni, difficoltà da affrontare e persino la prospettiva del pericolo di vita possano influire pesantemente sulla vita chi deve imitare il Signore nella sua “Via Crucis”: anche Gesù si dichiara “triste fino alla morte!” ma procede chiedendo al Padre in preghiera la forza per affrontare ciò che non si può evitare, dal momento che Egli stesso aveva asserito che “chi vuole salvare la propria vita la perde, chi dona la propria vita la guadagna”. Gesù si alza dalla preghiera non con l’assicurazione da parte del Padre che il calice di dolore verrà allontanato da lui, al contrario esce dalla preghiera rinforzato che non c’è altra strada, e il Padre gli chiede di essere forte, di fidarsi, di bere il calice donando la sua vita, per poterla ritrovare per sempre. Senza questo gesto di Gesù, saremmo ancora prigionieri delle nostre paure e pusillanimità, mentre ora e per sempre Gesù ci ha aperto con la sua passione e morte la strada verso la vita. Gesù si avvia verso il suo destino, legato, dicendo “Si compiano le Scritture”, indicando il suo assenso alla Parola, a volte misteriosa, che ci viene rivolta da Dio. La fiducia-ascolto verso la Parola è la porta della vita eterna. La paura e la sofferenza di Gesù davanti alla passione e morte hanno lo scopo di sottolineare l’importanza e la bellezza della vita. La morte non è “sorella” per il vangelo di Marco, ma “l’ultimo nemico” da sconfiggere (1Co 15,26). Il racconto della morte di Gesù è scarno, il più corto tra i Sinottici. Le folle, i capi del popolo e persino i due condannati ai lati di Gesù lo deridono. La natura piomba nell’oscurità, Gesù prega con il salmo 22 “Mio Dio! Perché mi hai abbandonato?” Il lungo grido che squarcia il buio del Calvario sono la sola parola di Gesù che muore, mentre i presenti continuano a deriderlo con cinismo, parlando dell’aiuto di Elia. La pagina della croce secondo Marco non potrebbe essere più incisiva: Gesù, uomo in tutto e per tutto, muore solo e deriso con una sentenza giuridica che suona condanna per le sue bestemmie, per la sua “lontananza” da Dio. Tutti ritengono che si sia tolto di mezzo un pazzo, un rivoluzionario che ha pagato per le sue idee blasfeme, contro Dio e contro le istituzioni del popolo santo. Solo un pagano, il centurione romano, proprio in quel condannato morente riconosce il Figlio di Dio. Nel tempio del suo corpo distrutto, come il segno del velo del Tempio squarciato indica, nascerà il nuovo Tempio, ricostruito da Dio dopo tre giorni di sepolcro e di buio. A noi spetta riconoscere il Figlio di Dio nel figlio dell’uomo morente in croce, a noi spetta la fede salda per rimanere in attesa dell’alba di risurrezione. Accanto al centurione infatti, spuntano solo ora alcuni discepoli e donne presenti, che presumibilmente condividono la fede del centurione. Solo qui viene specificato che il gesto di Giuseppe di Arimatea che chiede il cadavere del Maestro è un gesto di coraggio. Si delinea la salvezza, per coloro che accettano la logica della croce.

Cristo va incontro alla morte con libertà di figlio
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento