II lettura di domenica 6 giugno - Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza

Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d'uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.
Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo - il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio - purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?
Per questo egli è mediatore di un'alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che era stata promessa.

L’autore della lettera, profondo conoscitore dell’Antico Testamento, sta spiegando la superiorità del sacerdozio di Cristo e del culto del Nuovo Testamento rispetto al sacerdozio e al culto dell’Antico Testamento.
Ha accennato alla configurazione della tenda, la quale, dai giorni dell' Esodo sino al momento in cui Salomone aveva costruito il tempo a Gerusalemme, fungeva da luogo di culto, la cui parte più sacra – il cosiddetto “Santo dei Santi”, ospitante l’Arca dell’Alleanza – era separata da una cortina, che veniva oltrepassata dal Sommo Sacerdote soltanto una volta l'anno.
Ebbene – dice l’agiografo – nel Nuovo Testamento il Sommo Sacerdote è Cristo e con ministero efficace, non soltanto in ambito terreno, ma con possibilità di donare i “beni futuri”, eterni. Egli non ha immolato degli animali, ma se stesso: il suo sangue versato non è semplice simbolo della vita proveniente da Dio, ma è il sangue di Dio Incarnato. Il suo sacrificio, pertanto, ha valore infinito e portata eterna, i cui effetti, cioè, durano per nell’eternità, perché acquisiti “una volta per sempre”.
“Una volta per sempre” Cristo – in virtù del suo sacrificio perfetto – è entrato nella realtà divina, come “tenda più, grande e più perfetta”, un tempio spirituale, anzi soprannaturale, “non costruito da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione”: dall’Incarnazione alla Passione alla Ascensione.
L’antico culto quindi è superato, abolito, essendo soltanto prefigurazione, preparazione con efficacia esclusivamente rituale e non interiore: d’altra parte se il sangue di sacrifici animali aveva efficacia di purificazione esteriore, il sangue di Cristo, purissimo “senza macchia”, dotato di potenza divina – “con uno spirito eterno” – ha efficacia interiore, arriva a purificare la “coscienza dalle opere di morte”, cioè dai peccati, mettendo in condizione di poter aver l’onore e la dignità di “servire il Dio vivente”. Cristo non è soltanto vittima, ma pure “mediatore della nuova Alleanza” tra il popolo e Dio, quindi autentico e perfetto sacerdote, il quale purifica dalle “colpe commesse sotto la prima Alleanza”.
Il vocabolo greco “diatheke”, che traduce l’ebraico “berith”, in questo contesto non ha soltanto il significato di “alleanza” o di “patto”, ma quello, più specifico, di “testamento”, il quale va ad effetto soltanto dopo la morte del testatore; per questo l’autore della lettera parla di “eredità eterna”, conseguente al fatto che è “ormai intervenuta la morte” di Cristo. Ossia: la “redenzione delle colpe” e quindi “l’eredità eterna” e “i beni futuri” sono conseguenza della morte di Cristo, vittima sacrificale, ma anche sacerdotemediatore.