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II lettura di domenica 30 gennaio - IV domenica del Tempo Ordinario

Anno C - Il Profeta

II lettura di domenica 30 gennaio - IV domenica del Tempo Ordinario

Dalla prima lettera ai Corinti - 12,31 -13,13

Fratelli, la carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Al presente conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

La comunità cristiana di Corinto fruisce largamente della presenza di uomini carismatici. L'esercizio dei doni straordinari di Dio – compreso quello della profezia – tuttavia sembra creare problemi, sui quali viene interpellato Paolo.
L'Apostolo – che ha già precisato la natura e lo scopo dei carismi – rimarca la necessità di dare al carisma divino, in sé indipendente dai meriti dell'uomo, corrispondenza di virtù.
Ossia: il carisma rivela la provvidenza e la potenza di Dio, l'uo-mo deve adeguarsi con una disposizione di amore, di carità. Se questa manca il carisma, sia pure espletato con appariscenza, sia pure altissimo – come la profezia o la glossolalia (preghiera sublime ed estatica) o la penetrazione più profonda dei misteri – è privo di riflesso santificante sul carismatico.
Paolo porta attenzione alla carità, all’amore nella sua dimensione orizzontale, verso il prossimo, ma presuppone che essa tragga autenticità, valore e giustificazione dalla carità verso Dio. Come “Dio è Amore”, così il valore dell'uomo è proporzionato alla sua disponibilità all'amore: senza questa è “nulla”, nessuna opera materialmente buona ha efficacia soprannaturale, santificante; neppure la spogliazione completa di sé, neppure il martirio!
La carità deve essere il movente e l'anima d’ogni impegno veramente umano. Una carità genuina, che accetta gli altri con le loro debolezze, sa attendere (“è paziente”), ben disposta verso chiunque (“è benevola”), non è egoista, non soffre del bene altrui (“non è invidiosa”), è modesta, umile, nascosta, non vanagloriosa, non si esalta per il bene che per suo mezzo Dio compie (“non si vanta, non si gonfia”), rispetta la libertà di coloro che ama, conserva la castità, la delicatezza (“non manca di rispetto”), fa il bene con pieno disinteresse, rinunciando anche alla propria soddisfazione (“non cerca il suo interesse”), non si adira se chi è oggetto del proprio amore non è rico-noscente o addirittura ricambia il bene con il male; giustizia e verità debbono essere motivo di sprone e di compiacimento.
La carità ha eminenza sulle altre virtù – persino sulla fede e sulla speranza – perché l'uomo è destinato a vivere di essa e in essa per tutta l'eternità: allora non avrà più bisogno di credere e di sperare, ma continuerà ad amare, in maniera totalizzante, sublime. Ogni realtà, anche soprannaturale, nella vita terrena, può essere percepita soltanto parzialmente, “come in uno specchio”, che riflette una visione indiretta, fuggevole (e anche un po' deformata all’epoca di Paolo, in cui gli specchi non danno immagini perfettamente delineate e chiare). Ma la carità consente di superare questi limiti terreni ed anticipare già la realtà eterna.

Fonte: Il Cittadino
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